Il 10 e l’11 agosto i diversi resoconti dell’assedio non riportano nulla di nuovo. I francesi continuano a tirare sulla Cittadella (e spesso, di conseguenza ai colpi mancati, sulla città), ma sono costretti ad attenuare il fuoco per consentire ai loro minatori di ascoltare eventuali rumori sottoterra che li aiutino a intercettare le gallerie sabaude. Dall’altra parte gli artiglieri piemontesi sono costretti a controllare il loro impeto per risparmiare la polvere da sparo.

A proposito di polvere da sparo: in questi giorni, scrive il Solaro, “si è principiato a fabricare polvere con ordegni di nova inventione e benché la spesa fosse grande per il gran numero dello huomini che erano al travaglio, et questa si travagliava ove si faceva altre volte la Cavalerizza de cavalli di mangeggio di Madama Reale dietro alla Zecca”. Il processo tanto innovativo consiste nella forza bruta di alcuni forzuti armati di magli, che fanno ciò che le macchine del polverificio del Balon facevano prima che i francesi deviassero il corso dei canali. La fatica è enorme, il pericolo grande (bisogna operare con cautela) e il quantitativo di polvere prodotta minimo, ma anche quel minimo è ossigeno puro per le artiglierie sabaude.

Approfittiamo di queste due giornate di relativa calma per scoprire come veniva caricato un cannone nel 1700. La procedura era composta da una sequenza precisa di operazioni, dall’alto rischio di incidenti, che veniva eseguita dai cannonieri. Innanzitutto bisognava ripulire l’interno della canna (l’anima) con un’asta munita in fondo di uno spazzolone di setole rigide (simile a quello degli spazzacamini, o dei moderni scovolini per la pulizia dentale!): la pulizia serviva a ripulire i residui di polvere nera bruciata nell’esplosione precedente. Un recipiente di rame (la “cucchiara”) consentiva di introdurre nella canna del cannone l’esatta necessaria quantità di polvere nera. La polvere a quel punto veniva pressata con un “calcatoio” fissato a una pertica (spesso l’altra estremità dello “scovolone”). Si inseriva poi una specie di tampone di paglia, fieno o stoppa, che veniva a sua volta pressato. A quel punto era il turno del proiettile, che a seconda delle necessità poteva essere una palla di ghisa piena, o una bomba cava piena di polvere, o una scatola piena di frammenti e schegge di metallo per essere usate a mitraglia contro il nemico. Dopo il proiettile veniva collocato un secondo tampone, e il tutto veniva ancora una volta pressato col calcatoio. Una cattiva pressatura, un residuo di polvere del tiro precedente o una cattiva misurazione poteva rendere il tiro inefficace o, peggio ancora, a rischio di far esplodere il cannone e i cannonieri. Non dimentichiamo infatti che il metallo della canna diventava rovente dopo ogni tiro.

A proposito di cose roventi. Nell’assedio di Torino i francesi fecero largo uso delle cosiddette “boulet rouges”, sfere di ghisa piene e arroventate sui carboni ardenti. In questo caso la procedura di caricamento era ancora più scrupolosa, e veniva usato un tappo di legno anziché di paglia o stoppa, per ridurre il rischio che la palla rovente incendiasse la polvere da sparo prima del dovuto. Le boulet rouges venivano usate per incendiare gli edifici nemici, e i francesi non ne risparmiarono l’utilizzo per terrorizzare la cittadinanza torinese.

Sempre a Torino fecero il loro debutto alcuni esemplari di un cannone davvero innovativo, inventato dal piemontese Giovanni Chieppo: veniva infatti caricato non dalla canna ma dalla culatta, ossia dalla base, come avviene oggi con l’artiglieria moderna a dimostrazione del fatto che l’innovazione rendeva il caricamento più facile e meno rischioso.

Concludiamo con una considerazione relativa al campo nemico. I conti dell’assedio cominciano a farsi salati anche per gli assedianti, specie in termini di vite umane. Delle tre compagnie di minatori francesi arrivate a maggio per iniziare l’assedio sono rimasti un centinaio di uomini, con 25 ingegneri miitari dei 48 che erano.

L’immagine, trovata in rete ma senza riuscire a scoprirne l’autore, è tratta da un dipinto che rappresenta la battaglia di Blenheim, durante la guerra di successione spagnola, di cui ho parlato negli antefatti dell’assedio di Torino.