Le notizie, nel 1700, non viaggiano certo in tempo reale.
Il 29 settembre 1703 l’esercito piemontese viene disarmato e messo gli arresti dai suoi “alleati” francesi al campo di San Benedetto. Il 1 ottobre al Duca Vittorio Amedeo arriva la notizia che il Re di Francia è indispettito dai suoi colloqui con l’imperatore Leopoldo e medita di far imprigionare le sue truppe entro due giorni. Il 2 ottobre il messaggio dice: “l’arresto è già avvenuto!”.
La “sorpresa di San Benedetto”, con l’arresto di un terzo degli effettivi del suo esercito, ha messo in ginocchio il Duca di Savoia, ma non l’ha certo sconfitto. Vittorio Amedeo II, che a buon motivo è soprannominato “la volpe savoiarda”, reagisce immediatamente: innanzitutto fa arrestare gli ambasciatori di Francia e Spagna e il personale francese delle ambasciate, nonché di tutti i francesi di alto rango che si trovano in città.
Vittorio Amedeo raduna la nobiltà nel suo palazzo di Piazza Castello e ottiene il rinnovo del giuramento di lealtà: l’aristocrazia sabauda promette di sacrificare “beni e vita” per servirlo.
Partono ordini per tutti i governatori e i comandanti delle piazzeforti del Ducato: radunare truppe, munizioni e polvere da sparo, riparare e rafforzare le opere di difesa, di arrestare tutti i militari francesi e spagnoli sul territorio e confiscarne beni, armi e polvere. Infine, il Duca chiede ai governatori di informare la cittadinanza sia di quanto avvenuto a San Benedetto, sia di come è stata forte e decisa la contromisura.
Dal 3 ottobre, Torino sa che i francesi sono nemici e vanno trattati come tali.
Quel giorno stesso arriva la chiamata alle armi, il cui preambolo è un capolavoro di finezza politica e di capacità di parlare alla pancia della gente: “Li buoni serviggi ch’habbiamo ricevuto nelle passate emergenze dal battaglione delle milizie di Piemonte ci hanno determinato di ristabilirlo sotto nome di varii reggimenti e di valersene in tutte le occorrenze, non tanto perché servano con maggior honorevolezza e disciplina che per haver continuati contrasegni di quella fedeltà, zelo e valore ch’hanno fatto apparire per l’adietro e che facciano capitale di ricevere al presente che vi vediamo astretti a ripigliare le armi in seguito della violenza, che ci è usata contro ogni aspettatione e buona fede dalla Francia nell’haver fatto disarmare ed assicurare le nostre truppe che sono all’armata d’Italia senza alcun giusto fondamento, epperò habbiamo ordinato ai governatori delle nostre provincie di far le levate in esse degli accennati reggimenti”.
Possiamo nutrire qualche ragionevole dubbio sul fatto che Vittorio Amedeo II subisse la violenza francese “contro ogni aspettatione”, vista la tempestività e la capillarità della sua reazione. E c’è da dubitare che il disarmo dei soldati sabaudi sia stato ordinato da Luigi XIV senza alcun fondamento. Agli occhi del popolo torinese è importante che la versione dei fatti sia questa, e così è.
A coloro che si arruoleranno sarà concessa l’esenzione del pagamento della macina per tutta la vita. E il porto d’armi per quattro anni dopo la guerra: una concessione, quest’ultima, non da poco, dal momento che nei quartieri più poveri di Torino, specie quelli fuori dalle mura (il Balòn e il Moschino) e quelli della Città Vecchia il crimine dilaga e gli sbirri del vicario intervengono spesso quando è troppo tardi. I nuovi arruolati riceveranno la stessa paga e razione giornaliera di paga dei soldati di ordinanza, a partire dal giorno in cui, vestiti ed equipaggiati con fucile e spada, si riuniranno nei luoghi assegnati.
Oltre a provvedere agli arruolamenti della milizia, Vittorio Amedeo II deve rimpolpare le truppe di ordinanza e dà ordine ai colonnelli dei reggimenti di cavalleria e dei dragoni di completare gli effettivi di uomini e cavalli, aumentando di 20 uomini ciascuna compagnia. I reggimenti di fanteria Saluzzo e Monferrato vengono raddoppiati con la creazione di nuovi battaglioni.
E nel frattempo, molti soldati catturati a San Benedetto riescono a darsi alla fuga e a tornare al servizio del Duca. Imprese avventurose ed eroiche perché, pare, il trattamento francese ai prigionieri è tutt’altro che tenero. Nutriti a pane e ad acqua, mescolati sani e ammalati, diversi soldati muoiono in carcere. Coloro che, fuggiti, rientrano nei ranghi, vengono premiati con il versamento della paga dal giorno del loro arresto e con un piccolo extra.
“E’ stata veramente lodevole l’industria usata da molti soldati delle nostre truppe c’hanno militato in Italia nella scorsa campagna, nel fuggire dalle prigioni, nelle quali furono ingiustamente riposti dai nemici, ma gli medemi non sarebbero degni del nostro gradimento, quando scordevoli del loro dovere in quest’emergenza e dell’obbligo assunto con l’arrolamento, dopo essere rientrati ne’ nostri Stati, non si restituissero a’ loro corpi, che si vanno rimettendo in questa nostra capitale”. Così fa scrivere Vittorio Amedeo l’11 ottobre. E comanda che vengano trattati come disertori coloro che, entro 10 giorni, non si presenteranno ai loro corpi d’armata.
Un discorso a parte va fatto per gli ufficiali (quasi 200) catturati a San Benedetto. Come si usa a quei tempi, vengono fatti prigionieri “sulla parola”. Il 16 ottobre il Duca emette un nuovo editto in cui, augurandosi che il trattamento francese avesse animato fedeltà e zelo nei sui sudditi, proibisce a chiunque di andare a militare al servizio di stranieri e ordina il rimpatrio a tutti quelli che si trovano nel territorio di corone nemiche e che sono in condizione di farlo. Viene concessa amnistia ai rei e ai disertori che vengono a militare nelle truppe d’ordinanza.
Gli ufficiali sabaudi catturati il 29 settembre riescono, per la maggior parte, a sfuggire e a fare ritorno a Torino. Il generale Vendôme, comandante delle truppe francesi in Italia, scrive al Duca di restituire quegli uomini che avevano dato la loro parola d’onore di restare prigionieri. Il Duca fa rispondere che nessuna parola può dispensare i suoi ufficiali dal dovere assunto verso il loro sovrano. E che, dopotutto, l’arresto è avvenuto violando un trattato di alleanza…
Infine, Il Duca di Savoia accelera le trattative con l’Imperatore Leopoldo. Sin dal 4 ottobre comincia a fare richiesta di soccorso, dando anche indicazioni sulla strada da seguire per venire in Piemonte senza che il nemico se ne accorga. La complessa macchina bellica si mette in moto…
Il dipinto, di Jean Anthoine Watteau, mostra un reggimento di soldati francesi in marcia.