Nello spiazzo dove tutti i sabati si teneva il mercato dei cenciaioli, al Balòn, un assembramento di persone guardava verso Torino, da dove si alzava una folta nuvola di fumo nero.
«È la Cittadella» diceva una voce acuta di donna, e un’altra:
«No, la Cittadella è più a destra…»
Laura si fece largo tra la folla senza smettere di camminare perché aveva fretta, ma cercando di ascoltare cos’era successo. Qualcuno osservò:
«Dev’essere andato a fuoco un deposito di legna.»
«Se fosse stato di polvere da sparo, il botto l’avrebbero sentito fino
a Rivoli.»
«La Madonna non può essere dappertutto…»
Prima o poi, il discorso cadeva sul miracolo della Consolata che respingeva
le bombe nemiche.
La Feuillade aveva fatto bombardare la chiesa ma le cannonate non erano riuscite a colpirla: era come se la Protettrice di Torino avesse deciso di sfidare i francesi, incoraggiando gli assediati a resistere alle bombe con lo stesso suo coraggio.
Laura era certa, invece, che la Santa Vergine non avrebbe mai deviato le palle di cannone perché queste, sfiorata la chiesa, cadevano sui palazzi vicini, abbattevano muri e sfondavano tetti, uccidevano e storpiavano. Farlo era in Suo potere, certo, ma non con la certezza di condannare altre
case e chi ci abitava.
Laura proseguì il cammino lungo il fiume, soffermandosi a guardare un drappello di soldati che si esercitavano a poca distanza dal ponte sulla Dora. Tutti temevano da un momento all’altro di vedere un’armata nemica in arrivo dalle strade di Vercelli e della Val di Susa, e quelle manovre militari erano, in qualche modo, rassicuranti.(La Città dell’Assedio)
Il 20 luglio tutto tace, come sinistro presagio di qualcosa che sta per accadere. Dagli spalti si vedono posizionare nuovi mortai nella batteria davanti all’Opera a Corno. Ci si attende la ripresa dei bombardamenti, ma questa non arriva.
Non il 20, almeno, e non sull’Opera a Corno.
All’alba del 21 luglio le batterie degli assedianti cominciano a tirare sulle controguardie dei bastioni Beato Amedeo e San Maurizio, e sulle tre frecce della Cittadella (quelle indicate in rosso del plastico di Torino presente al Museo Pietro Micca): i danni sono tali da rendere le fortificazioni irriconoscibili.
A quel punto, verso le dieci di sera, i francesi lanciano l’assalto e alle flecce e riescono a prendere posizione (con perdite considerevoli, essendo esposti al terribile fuoco delle artiglierie sabaude).
La vittoria francese è di breve durata. Il giorno dopo, il 22 luglio, si dà fuoco a una grande mina sotto la fleccia del bastione Beato Amedeo (la n.3 dell’immagine), a cui fa seguito una sortita di 300 granatieri dalla Cittadella sostenuta da un violento bombardamento. I francesi si ritirano e gli assediati riescono a occupare le rovine della fortificazione per quasi un’ora, ma poi sono costretti a cedere al contrattacco e a tornare indietro… non senza aver fatto prigionieri un capitano e 30 francesi.
Lo scontro costa alle forze del Duca di Savoia 30 soldati morti e 80 feriti, 2 ufficiali morti e 2 feriti. Va molto peggio agli uomini di Re Sole: i disertori fanno sapere che sono morti 500 uomini e ben 60 carri di feriti sono stati fatti condurre nelle retrovie.
Sono trascorsi quasi 70 giorni d’assedio e i progressi dei francesi sono davvero risibili: tre fortificazioni esterne, costruite alla bell’e meglio durante l’inverno, al prezzo di perdite ingentissime.
A Torino c’è però ben poco da festeggiare. Come riferisce il Giornale dell’assedio, “il numero delle bombe e pietre tirate da’ nemici nella Cittadella e posti esteriori in queste azioni fu grandissimo in nostro danno, particolarmente anche quelle bombe che giorno e notte hanno gettate nella città vecchia con rovina delle case”.
L’immagine in testa al post è tratta da “la vera storia di Pietro Micca” pubblicata nel 1969 sul Corriere dei Piccoli.