Il 25 giugno i francesi danno fuoco alle polveri della loro artiglieria. Sei cannoni tirano in maniera mirata sulla città, terrorizzando i torinesi con le cosiddette boulets rouges, le palle infuocate: una di queste cade sulle scuderie del Duca e le riduce in cenere. I danni sulla Cittadella sono consistenti, e trecento operai vengono mandati in prima linea a riparli
I cannoni della Cittadella rispondono con decisione, e il 26 giugno colpiscono alcuni magazzini di polvere: secondo i disertori catturati, quasi due compagnie di granatieri vengono decimate dalla deflagrazione.
Il Solaro della Margarita descrive bene gli effetti dei bombardamenti su Torino: “Nei pressi dell’Arsenale cinque soldati tedeschi e una donna sono travolti da un solo colpo, che sarebbe andato ben più lontano se la palla non fosse stata fortunatamente ammortizzata dallo scontro con un grosso bue, che la ricevette nel suo ventre. I borghesi erano spaventati da così funesti avvenimenti: ma ciò che suscitava in loro ancora più orrore, era il vedere volar via i tetti, e i camini, ed i muri delle loro case che oscillano percossi da forti colpi di cannone”.
L’Arpa Discordata, il poemetto attribuito a Tarizzo, racconta i fatti con la consueta ironia:
“Le signore con i signori
correvano tutti su e giù
per Torino a consultare
con i capimastri e gl’ingegnieri
l’assistenza e la direzione
per difendere la casa
dalla furia delle bombe
dei cannoni e delle granate.
E i riccastri a casa pieni di paura
aprivano i loro tiretti
ammucchiavano i loro biscotti (le ricchezze)
e, in segreto, si davano da fare
Per gli scaloni e le scalette
a scappare con arie sciupate.
Le signore con le mantelline
spogliavano le loro stanze private,
imballavano le scatole
sistemavano le chincaglierie
d’inghilterra e di Parigi
per mandarle a casa di amici.
I facchini di Viù e Lanzo
si trovavano a fatica:
ridevano peggio dei matti
facendosene una grande gioia
benché fossero come muletti
carichi di letti, bauli e cofanetti”.
Nel frattempo continuano gli spostamenti di truppe sul territorio piemontese. Vittorio Amedeo II si porta dietro la sua cavalleria e un nutrito numero di inseguitori, agli ordini di La Feuillade. Il Duca di Savoia si sposta verso Mondovì, poi verso Cuneo, confidando sulla migliore conoscenza del territorio e sull’appoggio della popolazione. Il comandante francese cerca di fargli terra bruciata intorno: assedia Cherasco, attacca il castello di Asti, ma senza creare reali difficoltà al Duca che, nel frattempo “era sovente obbligato a coricarsi per terra, ad accontentarsi delle vivande più comuni, ed a soffrire i duri disagi della guerra. Però era molto più degno di ammirazione vederlo combattere il suo destino, in mezzo ai suoi disastri, senza mai mancare di risorse in così incresciosi momenti, bastando sempre a se stesso, mentre meditava le azioni gloriose che l’hanno fatto trionfare sui suoi nemici”. Queste parole giungono dal diario dell’assedio scritto dal Solaro della Margarita, e sono molto indicative sul modo con cui il Duca era visto (e ammirato) dai suoi uomini.
L’immagine in testa al post, scattata al Museo Pietro Micca, raffigura un cannone (e un artigliere) dell’epoca dell’assedio.