Il 28 e il 29 luglio la lotta continua feroce sia sul piano di campagna che nel sottosuolo. Gli attacchi francesi ricevono nuovo vigore per il ritorno del comandante, il Duca de la Feuillade, che era stato a Pavia per partecipare a un consiglio di guerra indetto dal Duca d’Orlèans per capire in quale modo opporsi alla marcia dell’armata di soccorso guidata dal Principe Eugenio.
I francesi aprono una nuova batteria di cannoni con cui sparare contro la faccia sinistra della mezzaluna del Soccorso. I loro scavi procedono spediti sia verso la Cittadella che verso l’opera a Corno:
i progressi sono significativi e minacciano la galleria inferiore davanti al bastione San Maurizio, così che i minatori torinesi sono costretti a caricare una mina e a farla brillare per rovinare i lavori di scavo nemici. In superficie le truppe rimangono sbalordite e terrorizzate nel vedere un cratere che si apre nel terreno davanti ai loro occhi inghiottendo uomini e cannoni.
Malgrado questo successo, la preoccupazione diffusa tra i difensori della Cittadella è di non avere abbastanza polvere da sparo. La cavalleria del Duca protegge l’ingresso in città di oltre cento muli carichi di polvere nera. Nel suo diario, il Solaro della Margarita scrive che “i signori dell’artiglieria non si sono per nulla addolorati“.
I disertori fanno sapere che gli assedianti stanno scavando per deviare il corso di uno dei canali della Dora e allagare le gallerie di mina. Gli alti comandi danno ordine ai minatori di trincerare le difese sotterranee in modo da rendere più difficile l’ingresso dell’acqua.
In questi giorni, oltre alle bombe, desta preoccupazione la situazione economica di Torino. Il Ministro delle finanze, il conte Giovanni Battista Gropello, scrive al Duca di Savoia “qui si sono pratticati tutti li mezze per havere danari, ma con poco frutto“. Sembra che la sola difesa della città costi più di 450.000 lire al mese: se pensiamo che una lira al giorno era il corrispettivo dello stipendio di un mastro artigiano e che 400.000 lire all’anno era l’appannaggio con cui la Madama Reale manteneva nel lusso la sua corte di Palazzo Madama, il conto è presto fatto.
Il 29 luglio la Congregazione Municipale “dispone di somministrare […] tre oncie di riso, e due oncie di lardo per caduno, et il sale necessario per il condimento ogni giorno e per quei cittadini poveri solamente che sono attualmente di guardia, calcolandossi, che puossino essere circa duecentocinquanta cadun giorno“: un modo per sostenere, ma anche per incoraggiare, i cittadini che si rendono disponibili a fare un servizio a Torino in questo momento difficile.
L’immagine in testa al post è tratta dal Manuale d’Artiglieria del generale francese Pierre Surirey de Saint Remy che, pubblicato nel 1697, fu senz’altro materia di studio degli artiglieri del Re Sole (e non solo!) durante l’assedio.
I cannoni nemici si erano attestati nelle trincee più vicine alle mura, così nemmeno la via Nuova veniva risparmiata. Le bombe continuavano a deturpare palazzi, sfondare tetti e stroncare vite, e in ogni momento del giorno e della notte si vedevano passare le squadre di soccorso con i brentatori e le loro gerle sulle spalle cariche d’acqua.
I banchi delle merci, al mercato come nelle botteghe, diventavano sempre più miseri, e si allungava la coda di coloro che si rivolgevano ai conventi per la distribuzione quotidiana di cibo. Tutti facevano i conti con la guerra che aveva aumentato il prezzo di ogni cosa: il vino era l’unico genere rimasto a buon mercato, grazie alle scorte accumulate prima dell’assedio.
Eppure al mercato si respirava un’atmosfera di insolita allegria. Correva voce che l’armata imperiale al comando del Principe Eugenio fosse prossima a varcare i confini del Ducato di Savoia: la notizia era giunta in città quella stessa notte, con un messaggero mandato da Sua Altezza Reale al comandante Von Daun. Sembrava che per evitare lo scontro con il Principe Eugenio i francesi avessero abbandonato l’assedio di Ceva, lasciandosi indietro perfino due cannoni.
Laura era stata contagiata dal buon umore generale, anche se il suo banchetto faceva pochi affari. Sorrideva, salutava, invitava a provare le sue essenze, senza scoraggiarsi se i passanti la ignoravano, accontentan246
dosi che ogni tanto qualcuno si fermasse a parlare con lei, anche se gli argomenti erano sempre gli stessi.(La Città dell’Assedio)