Dopo aver respinto il grande assalto nemico due giorni fa, e dopo aver acceso, ieri, l’immane e terribile rogo nel fossato, ora l’unica cosa che rimane da fare ai difensori della Cittadella è continuare a tenere i francesi lontani dagli spalti gravemente danneggiati. Per tutto il giorno le fiamme vengono alimentate per tenere viva quella barriera rovente.

Gli artiglieri sabaudi sparano pochi colpi, ma tutti messi a segno con precisione. Il capo dell’artiglieria, il conte Solaro, così ci descrive gli effetti di una bomba incendiaria che colpisce un magazzino nemico: “le granate e le bombe che sono là dentro fanno un rumore così forte che sembra un assalto: le armi, i vestiti, i cappelli dei soldati, tutto quello che si trova dentro alla batteria è spinta molto in alto: le cartucce con le quali si carica il  cannone ed i rotoli di carta che le avvolgono, volando in aria, si strappano e si disperdono in brandelli, che ribollendo in mezzo a un fumo molto denso, ci appaiono come una grossa nevicata in piena estate”.
Il conte Von Daun, che assiste alla scena dal bastione San Maurizio, fa premiare con del denaro gli artiglieri autori del colpo magistrale.

C’è molta unità tra i difensori e molto cameratismo, anche se (non dimentichiamolo) si tratta di un esercito dalle molte anime: ci sono piemontesi, austriaci, ungheresi, irlandesi, ci sono cattolici e ugonotti. Tutti uniti nell’unico intento di difendere la Cittadella e Torino a costo della vita. Sempre il Solaro ci riferisce che quando Von Daun
cerca di incoraggiare i soldati ricordando che il Principe Eugenio è vicino (l’ultimo dispaccio dice che il 23 agosto era a Voghera, e in assenza di ostacoli si arriva a Torino in circa una settimana) uno di questi, colpito dal tono confidenziale del comandante, gli risponde spiritosamente: “Ah, signore, tutti i giorni io vado alla Porta del Soccorso, e non lo vedo mai!”.

I segnali però parlano chiaro. I prigionieri e i disertori francesi comunicano un imponente movimento di truppe da Chivasso a Torino: è il Duca ‘Orleans che porta la sua armata a rinforzo di quella di La Feuillade. Dagli spalti della Cittadella si assiste a un febbrile lavoro di rafforzamento delle trincee in campo francese. Sembrano manovre difensive, più che d’attacco, e tutto porta a credere il Principe Eugenio sia davvero vicino.

Il consiglio municipale, proprio nella speranza di un prossimo arrivo dell’armata liberatrice, stabilisce che l’indomani “si cominci una novena in tutte le Chiese delli Religiosi regolari, e delle Monache con espositione del Santissimo Sacramento […], e quanto alla Chiesa di S. Francesco di Paola nuovamente elletto per comprottettore di fare una novena più solenne da cominciare pure dimani”. Decide inoltre che a spese della municipalità venga distribuita.un’elemosina di grano per un valore di settantacinque lire ai padri di Santa Teresa e di San Tommaso, e che venga offerto un rinfresco di pane, vino e formaggio alla milizia ausiliaria, che finora si è occupata di vigilare su Torino per consentire a tutta la guarnigione di difendere la Cittadella.

Quello che i difensori sperano, ma non possono sapere, è che il Principe Eugenio e il Duca di Savoia si incontrano davvero quel giorno, il 29 agosto, a Villanova d’Asti. La salvezza di Torino è davvero possibile.

Il quadro nell’illustrazione raffigura i due cugini Vittorio Amedeo (con l’uniforme rossa) e il Principe Eugenio (con la corazza).