Intanto che il Duca di Savoia si prepara alla guerra, i francesi non stanno esattamente con le mani in mano.

Il generale Vendôme, probabilmente il miglior condottiero al servizio del Re Sole, ha le idee molto chiare su come muoversi, e manda al re una dettagliata relazione in merito. E’ il 12 ottobre. Vendôme consiglia di non perdere tempo (“ne se point amuser”, non trastullarsi) con Vercelli e Verrua, ma portare subito le truppe a Torino, conquistare la città dalla parte della collina e poi assediare la Cittadella fino a prenderla anche per fame e sfinimento. Ho evidenziato volutamente quest’ultima parte, e non a caso. A posteriori, appare chiaro come la strategia proposta dal Vendôme non avrebbe lasciato scampo al Duca di Savoia, e appare a prima vista incomprensibile il motivo per cui l’assedio abbia preso tutta un’altra via: scrivo ‘a prima vista’ perché quando scopriremo le scelte di Luigi XIV sui generali da destinare alla campagna in Italia si spiegheranno molte cose.

“Au nom de Dieu, Sire”, concludeva Vendôme nel suo rapporto al sovrano, “envoyez-nous de troupes; puisque nous avons pris Barcelone, nous prendrons bien Turin”.

In attesa di una risposta da Luigi XIV, il generale si mette in marcia da San Benedetto muovendo 30 squadroni e 24 battaglioni. Il 16 ottobre 1703 l’armata raggiunge il vercellese e si accampa sulla riva sinistra del fiume Sesia, ponendo il  quartier generale a Candia e iniziando a posare un ponte all’altezza di Villata.

Per fortuna di Torino, Re Sole tergiversa: preferisce rinviare l’assedio della città all’anno seguente e dà ordine a Vendôme di prendere i quartieri d’inverno in Piemonte (cosa fatta, in realtà) e di attendere un’altra armata francese che nel frattempo avrebbe invaso la Savoia.

Del resto, il Vendôme ha le sue gatte da pelare. Una piccola armata alemanna, 1120 corazzieri e dragoni e 100 ussari al comando del marchese Annibale Visconti, marcia dalla destra del Po per andare a unirsi alle forze del Duca di Savoia. Nei giorni seguenti le province piemontesi e lombarde vedono il passaggio di truppe di diverse bandiere: gli imperiali di Visconti che marciano in soccorso del Duca, le milizie del Duca che cercano di favorire l’arrivo di quelle di Visconti e intanto raccolgono arruolati nei villaggi e nelle città, e infine le truppe di Vendôme che cercano di impedire che sabaudi e imperiali uniscano le forze.

Ci si mettono anche i briganti, che all’epoca sono organizzati in bande numerose e ben armate. L’armata del Visconti, mentre sta attraversando la Valle del Curone (nell’alessandrino), trova il passo sbarrato dalla banda di Carlino Santa Rosa. Costui, d’accordo con i francesi, cerca di tenere in scacco gli imperiali intanto fino all’arrivo degli uomini di Vendôme. Il piano riesce a metà: Visconti assale i banditi e riesce ad aprirsi la strada, ma la sua retroguardia viene raggiunta dalla cavalleria francese. Se lo scontro si combattesse in campo aperto, i 300 tra corazzieri e dragoni soccomberebbero rapidamente di fronte a un numero di molto superiore di cavalieri lanciati al galoppo. Combattendo invece nella gola tra San Sebastiano e Dernice, la retroguardia imperiale riesce invece a tenere testa ai tremendi assalti nemici. Si distinguono per vigore e coraggio il comandante della retroguardia, il marchese Davia e il barone di Saint-Remy Pallavicino, inviato del Duca di Savoia, un nome che si farà onore anche durante l’assedio di Torino. Da 300 rimangono 100, poi 60. Arretrano passo passo per 10 chilometri difendendosi valorosamente, ma alla fine riescono a ricongiungersi con il resto delle truppe. Procedere verso Torino sembra impossibile, e il Visconti è costretto dai francesi che lo circondano e lo incalzano da tutte le parti a tornare in Lombardia. La cosa rende tutt’altro che felice il Duca di Savoia, che insiste col Visconti perché faccia un altro tentativo.

Domani vi racconterò le prime operazioni militari in Piemonte. Il dipinto raffigura il Duca di Marlborough, uno dei principali condottieri della guerra di Successione Spagnola e comandante in capo delle truppe inglesi, intento a firmare dispacci.