Il momento dell’assedio di Torino si avvicina a grandi passi, ma non è ancora arrivato. Continuiamo dunque a seguire gli antefatti che hanno portato il Duca di Savoia a questo punto, ripartendo dall’invasione del Piemonte e dalla disposizione delle truppe iniziata nell’ottobre del 1703.

Andato a vuoto il ricongiungimento con le truppe inviate da Vienna e comandate dal Visconti. Vittorio Amedeo decide di arretrare le sue, dal momento che il nemico si sta radunando intorno ad Alessandria. Non sa che il Re Sole ha comandato al generale Vendôme di stabilire i quartieri invernali e di attendere l’arrivo del maresciallo Tessé e del suo esercito dalla Savoia.

Vendôme rispose che avrebbe approfittato del suo già considerevole vantaggio di forze occupando l’area dell’astigiano, garantendosi in un sol colpo il vantaggio di tagliare le comunicazioni tra il Duca di Savoia e gli alleati imperiali, e di aprire la via a rinforzi dalla Francia provenienti dalla Liguria. Lasciato un presidio verso Novara e Mortara per opporsi a eventuali scorrerie del presidio di Vercelli, il 6 novembre si mette in marcia verso Asti, che cade senza opporre resistenza il giorno seguente. Il Duca di Savoia non può fare altro che dare disposizione ai suoi generali di non ingaggiare battaglia con un nemico tanto numeroso e di ripiegare, in caso d’attacco, su Moncalieri, Chieri e Chivasso: non può permettersi di perdere altre truppe dopo quelle catturate a San Benedetto.

Nel frattempo, il generale Visconti sta cercando in ogni modo di portare i suoi soccorsi a disposizione di Vittorio Amedeo. Prova a trattare con gli inglesi, poi con gli olandesi, un trasporto via mare per raggiungere Nizza (feudo del Duca di Savoia), ma la mancanza di alternative e la vicinanza dei nemici lo obbliga a prendere posizione a Chiavari senza aver risolto nulla. Approfittando degli spostamenti delle truppe nemiche che stanno iniziando ad acquartierarsi tra Asti e Casale, il Visconti fa compiere ai suoi uomini un’intrepida marcia di 165 km in due giorni, senza soste, su strade in pessimo stato. L’impresa è compiuta, i francesi sono aggirati e gli imperiali possono finalmente unirsi alle milizie di Ceva e Mondovì, condotte dal conte di Santena che riferisce di non aver mai visto “truppe che abbiano più bisogno di riposo di queste”. L’arrivo degli imperiali a Santena avviene nella notte tra il 20 e il 21 novembre; il 26 sono a Carignano dove li attendono (finalmente!) i quartieri in cui riposare.

Nel frattempo, l’8 novembre, il Duca di Savoia e l’imperatore Leopoldo hanno finalmente concluso gli accordi per il trattato d’alleanza che prevede, tra l’altro 20000 soldati a soccorso dei sabaudi. Tra coloro che premono per muoversi in fretta e unirsi a Vittorio Amedeo II c’è il cugino di quest’ultimo e generale dell’armata imperiale: il Principe Eugenio.

Il Duca di Savoia riceve dal cugino la raccomandazione di evitare di scontrarsi con i francesi e di risparmiare il più possibile le sue truppe, prima di ricevere i rinforzi, e di utilizzare tutti i mezzi e tutte le risorse possibili, per colpire il nemico alle spalle e ai fianchi. Il suggerimento esplicito è di sfruttare la guerriglia degli abitanti delle montagne, in particolar modo dei Valdesi, che hanno un conto in sospeso con il Re Sole e con la Francia: vent’anni fa, dopo la revoca dell’editto di Nantes, Luigi XIV mandò il suo esercito a fare strage di “riformati” (così si chiamavano all’epoca i Valdesi). E all’epoca, fare strage aveva un significato molto vicino alla pulizia etnica di purtroppo non tanto lontana memoria. Vittorio Amedeo II, a quei tempi, fu praticamente costretto a partecipare alle operazioni contro i Valdesi. Oggi, suggerisce il Principe Eugenio, deve trovare il modo di farsi perdonare dai perseguitati di allora provando a far valere il sempre valido concetto che “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Il dipinto è di Richard Simkin (inizio 1900) e raffigura un esercito settecentesco in marcia.