Nei giorni scorsi ci sono state scaramucce e incursioni, ma l’inizio vero e proprio delle ostilità non c’è ancora stato. E’ ormai questione di pochissimo, i soldati sono pronti.
I preparativi per la battaglia di un soldato settecentesco erano di diverso tipo, e riguardavano l’equipaggiamento, il morale e l’anima.
L’equipaggiamento veniva controllato e rifornito. Le giberne dovevano essere riempite con almeno una libbra di polvere e due di piombo, in modo da poter preparare una quarantina di cartucce. Le pietre focaie, se possibile (e adesso, a inizio conflitto, lo era sicuramente) venivano sostituite: in media consentivano infatti di sparare una trentina di colpi, dopo di che non sprigionavano più la famosa scintilla necessaria a incendiare la polvere da sparo. L’equipaggiamento del soldato prevedeva la presenza di pietre di riserva, già avvolte in una lamina di piombo in modo da poterla rapidamente agganciare al cane dell’arma durante la sostituzione.
Tutte le componenti dell’arma da fuoco dovevano essere controllate e pulite con cura: pur al massimo della loro efficienza, i fucili mancavano un colpo su dieci. La pulizia dell’arma aveva anche un impatto psicologico: un reparto in cui le canne dei fucili brillavano come specchi dava subito una sensazione di disciplina e solidità, incoraggiava gli amici e spaventava i nemici. La guerra psicologica esisteva già allora.
Al contempo i soldati si preoccupavano di raccomandare la loro anima a Dio, e per questo i reggimenti erano seguiti da religiosi che celebravano messe, benedizioni e anche (prima degli assalti più disperati) estreme unzioni di massa.
Oltre alla preghiera tradizionale c’erano altre forme più superstiziose su cui i soldati facevano affidamento: amuleti, medaglie, iconcine sacre, simboli cristiani ma anche pagani. E’ celebre, tra le truppe assediate, il santino della Consolata: un biglietto con l’immagine della Madonna veniva infilato nel cappello a tricorno.
Infine, ai soldati venivano distribuiti due generi di conforto: il tabacco (da fiutare o fumare nelle pipe di terracotta) e gli alcolici. Dalle fonti storiche in nostro possesso sappiamo che i francesi bevevano di più dei loro alleati spagnoli e dei nemici piemontesi. Anche gli imperiali non disdegnavano un goccio di vino o di liquore in più, prima di lanciarsi in combattimento: l’effetto dell’alcol toglieva lucidità ma conferiva un ardore incosciente che, in casi disperati, poteva fare la differenza.
L’immagine in cima al post è un dipinto del pittore Charles William Jefferys e raffigura un reggimento francese pronto a marciare.