Il primo giugno un reparto di Ussari sorprende i soldati francesi di scorta ai foraggieri e riescono a ucciderne qualcuno. La strategia è sempre la stessa: attaccare, colpire e ritirarsi con rapidità. Questa volta però un ostacolo imprevisto si mette di traverso ai valorosi Ussari: la via di fuga, un ponte su un canale, è sbarrata, e il canale è troppo profondo per attraversarlo coi cavalli. Gli Ussari tornano indietro e si aprono la strada sciabola alla mano: non solo non perdono nemmeno un uomo, ma fanno pure un prigioniero e razziano quattro cavalli ai nemici. Con un’altra incursione, il tre giugno, tornano indietro con un bottino di quindici cavalli e muli e alcuni prigionieri.
Nella notte tra il tre e il quattro giugno gli assedianti terminano un’altra trincea (una “parallela”), che comincia a seicento passi dagli spalti della Cittadella e raggiunge, sempre mantenendosi a quella distanza, la cosiddetta “opera a corno” messa a protezione di Borgo Dora e posizionata in corrispondenza all’incirca delle attuali corso Regina Margherita all’angolo di corso Principe Oddone. Dal numero di bandiere che sventolano dalla parallela si fanno due conti e si presume che ci siano 9 battaglioni ipoteticamente pronti a prendere d’assalto contemporaneamente la Cittadella e la città dalla parte del Balòn.
Gli alti comandi si preparano a rispondere l’attacco riorganizzando le linee difensive, assegnando le posizioni, rinforzando le opere difensive e facendone costruire di nuove a destra di Porta Susina. Il Duca di Savoia conferma il comando della Cittadella al maggiore generale De La Roche d’Allery, affiancandogli l’aiuto del barone di Schoulenbourg, e dà al barone Regale, generale maggiore imperiale, il comando delle difese esterne di Porta Susina, affiancandolo al sabaudo marchese Nazari. Il barone Martigny, dell’esercito imperiale, viene distaccato con due reggimenti, uno piemontese e uno imperiale, per osservare i movimenti nemici lungo il Po, tra Moncalieri e Torino.
Da questi ordini appare chiaro l’intento del Duca di Savoia di mescolare il più possibile le due anime del suo esercito, quella sabauda e quella austriaca. Ogni comandante imperiale ha un assistente piemontese, ogni comandante piemontese ha un assistente imperiale. L’unità d’intenti in questa fase è fondamentale, e per raggiungerla bisogna cominciare a conoscersi, e a pensare insieme.
L’immagine, tratta dal sito di Museo di Torino, raffigura una mappa della città con evidenziata l’opera a corno.