Cento passi. Sono la distanza che il 20 giugno separa il nemico dalla controscarpa della Cittadella e dell’opera a corno. Gli scavi dei genieri francesi, seppure ostacolati dal tiro delle artiglierie sabaude, sono andati avanti e adesso la trincea più avanzata dista appena cento passi.
Da queste posizioni il bombardamento diventa feroce. Il cronista Tarizzo racconta che il nemico: lanciò: “una infinità di bombe e pietre ne’ nostri fortini esteriori, e delle bombe diverse nella città, che vi rovinarono molto le case”. La veemenza dei bombardamenti, caduti sopratutto nei quartieri di San Dalmazzo, Sant’Agostino, Santa Maria di Piazza e zone limitrofe, convince parecchi torinesi ad abbandonare le loro case e chiedere ospitalità ad amici e parenti, oppure andare nell’ormai sempre più enorme accampamento che sono diventati i portici di via Po. Una delle bombe sfonda una parete del palazzo del conte Gromis e si ferma, senza esplodere, sopra il letto di una cameriera. Un’altra cameriera, in casa Lambezzi, viene ferita a una coscia e a un braccio. Entrambe possono andare a far dire una Messa alla Consolata: sono state fortunate.
Le bombe dell’epoca non sempre esplodono: è sufficiente che la miccia si spenga o si stacchi, per esempio. Recuperare gli ordigni inesplosi, però, è sempre un grosso rischio.,. anche se remunerativo (il Duca ha infatti dato mandato di pagare la consegna di tutto il materiale bellico, intero o a pezzi, rinvenuto in città). Il 20 giugno capita un incidente in una bottega di fabbri ferrai incaricati della raccolta: una scintilla scaturita nel magazzino da una bomba ancora rovente appena recuperata ne fa scoppiare un’altra. Muore uno dei fabbri e un altro resta gravemente ferito. Anche in questo caso si ringraziano i Santi e la Madonna perché è scoppiata “solo” una bomba. Se ne fossero scoppiate altre il bilancio sarebbe stato ben più grave.
Intanto i francesi, raccontano le cronache, cominciano a esporre i “gabbioni” a protezione delle trincee. Si tratta di enormi panieri di vimini o legno a forma di cilindro, facili da trasportare per la loro leggerezza, ma che una volta collocati in posizione vengono riempiti di terra diventando una protezione molto efficace dai colpi di fucile e perfino di cannone. Anche i torinesi ne fanno largo uso: dai documenti sappiamo che i gabbioni per le nostre difese venivano intrecciati dai cestai in piazza Carlina.
Il posizionamento dei gabbioni nelle trincee francesi porta gli alti comandi sabaudi a fare una contromossa: così, nella notte, 25 granatieri e altrettanti moschettieri escono dalla Cittadella e attaccano le posizioni francesi. L’azione è fulminea (dura appena un’ora), ma riesce nell’intento: i gabbioni sono rovesciati e addirittura 50 vengono portati via. Le vittime da parte piemontese sono minime: 6 uomini tra morti e feriti.
Dice il Tarizzo: “Questo fatto obbligò i Nemici a riparare il danno e noi anche a fare un secondo tentativo su di loro”.
L’immagine in testa al post, tratta da wikipedia, raffigura i tipici gabbioni.