Dopo la relativa pausa di ieri, oggi 2 settembre 1706 i francesi ricominciano a tirare con 7 cannoni contro le due brecce della mezzaluna e del bastione San Maurizio. Pare che il bombardamento della notte sia il più feroce e intenso dell’intero assedio. Del resto ai francesi, a differenza dei difensori, la polvere da sparo non manca. Gli assediati resistono con fermezza e perfino spavalderia, come riferisce il Tarizzo:
“Principiarono la sera del 1 settembre a montar la guardia con le insegne dispiegate, tamburo battente, e si passò tutta la notte al tempestare delle pietre e delle bombe nemiche, in allegre sinfonie di strumenti musicali, e in motteggiamenti arguti e pungenti: quasi che il terrore delle batterie fosse mutato in argomento di passatempo a quei campioni, ai quali non faceva ormai più senso la presenza stessa della morte”:
Una lettera del Duca di Savoia solleva il morale dei difensori: Vittorio Amedeo II adesso è con il Principe Eugenio a Carmagnola con l’armata di soccorso. Il Duca avvisa anche che il monte di Superga sarà il luogo da cui manderà il segnale la sera prima di sferrare l’attacco sui francesi.
Considerato che nei giorni scorsi alcuni fuochi in cima al colle hanno già ingannato illudendo i torinesi, questo messaggio insinua qualche timore: come faranno a sapere che è il Duca, e non i nemici, a fare i segnali? L’alto comando conviene di usare prudenza.
C’è anche una lettera del Principe Eugenio scritta personalmente a Von Daun: “Ho voluto far sapere a V.E. (Vostra Eccellenza) il mio arrivo qui con speranza anche d’aver l’onore di vederla in pochi giorni in persona, assicurandola, che farò tutto il possibile per liberare V.E. a qualunque prezzo si sia, fra tanto la prego di far li miei complimenti a tutta la Guarnigione da mia parte, per la grande bravura, e straordinario valore ch’ella ha fatto vedere nell’ultima azione dell’assalto alla mezza luna”.
Attingo nuovamente da “l’Arpa Discordata” di Tarizzo per riportare gli eventi dalla voce di coloro che li hanno vissuto (e sempre traducendo dal piemontese)
Al due di settembre cade una pioggia/di pietre sulla Cittadella, con la notizia
che il Principe Eugenio lontano poche miglia/con forti soldatacci stava arrivando
E non poteva più tardare/e avrebbe fatto posare
Ai Francesi anche le camicie/o gliele avrebbe ridotte in briciole.
I cittadini con faccia ardita/e col cuore pieno d’allegria
Facevano tutti festa/e non aspettavano più la ritirata
Erano cose da far stupore/vederli tanto di buon umore.
L’atteggiamento dei torinesi in questa fase dell’assedio occupa spazio anche nella cronaca del Solaro della Margarita: “Ma vediamo cosa sta succedendo in Città mentre si combatte alla Cittadella: tutto si muove tutto è confuso; le vie e le piazze nei quartieri adiacenti la Cittadella traboccano di folla; i campanili e i tetti intorno alla spianata sono carichi di gente, cosa vi si sente sono le alte grida dei combattenti, i colpi di moschetto e di cannone, il frastuono delle pietre e delle bombe, cosa vi si vede sono i continui lampi di fuoco, che infiammano l’aria tutta scura per i vortici di polvere e di fumo. Quando il pericolo è anche visibile la speranza è dubbiosa, in questi momenti violenti corre il mormorio confuso che le nostre vicende non vanno affatto male; poi si spande la notizia che stiamo soccombendo: si è ancora nell’incertezza, finché si vedono arrivare al trotto veloce alcuni cavalieri che attraversano la folla e gridano al popolo: “i nostri nemici sono scacciati, sono battuti”: queste voci sono ripetute da tante bocche, quante sono le persone, e vanno come un torrente da un capo all’altro della città. Nell’attesa il rumore diminuisce e si calma, si vede sparire il fumo, le tenebre fanno posto al giorno e la gioia succede allo spavento. Ma ecco i poveri feriti, che vengono trasportati dalla Cittadella agli ospedali approntati per loro in città. Non si può vedere nulla di più pietoso: tutti i cuori ne sono inteneriti: il dolore dei poveri soldati non è meno da piangere di quanto sia lodevole la compassione dei borghesi; ciascuno mescola le lacrime con il loro sangue, e la pietà non è sterile, perché non c’è sorta di conforto che i soldati spossati, feriti, o morenti non trovino nella laboriosa carità di tutti i cittadini. Questi caricano con slancio sulle spalle le barelle sulle quali si parla, questi offrono loro tutti i tipi di cordiali, là viene offerto del vino e dell’acquavite, qui i meno abbienti offrono acqua e bende, ciascuno li vuole assistere secondo i suoi mezzi. E’, in verità, una bella unione di virtù cristiane e militari: il valore è aiutato dalla carità e la carità è difesa dal valore. Era ancora più piacevole per gli ufficiali riportati feriti incontrare passando gli occhi dei loro amici, vedere il rammarico dei loro cuori, ricevere elogi dalla loro bocca”. Torino resiste perché è unita, dai generali ai soldati alla popolazione.
Nel frattempo ci si appoggia alla fede. Il 2 settembre tutte le chiese e i conventi di Torino fanno novene per implorare l’aiuto di Dio.
Il cerchio si sta chiudendo…
L’immagine di oggi rappresenta le tipiche uniformi francesi dell’esercito del 1700.