“Tu sei Colui che ha la conoscenza,
Tu sei Colui che ha spaccato il cielo,
Tu sei Colui che ha aperto la terra,
Tu sei forte come Thoth.
Tu camminerai con le tue gambe, parlerai con la tua bocca, masticherai con la tua mascella perché tu sei il Dio Drago e regnerai sulla terra.
Tu sei Colui che può e colui che vuole.
Tu hai distrutto i tuoi nemici
O Unico che incateni e afferri coloro che ti sono offerti in sacrificio!
Noi conduciamo le vittime perché tu penetri il tuo veleno nelle loro membra. Possa il loro dolore recare gloria alla tua Divinità.”(la Città dell’Assedio)
Sulle presunte origini egizie di Torino si è fatto un gran parlare e un grande scrivere.
Proviamo a ricostruire e spiegare la nascita di questa leggenda.
Tutto ebbe inizio da Emanuele Filiberto, che trasferì la capitale del Ducato di Savoia (e la Sindone) da Chambery a Torino. Uno dei primi interventi decisi dal Duca per rendere Torino degna di una capitale fu fortificarla, costruendo quel capolavoro di architettura militare che era la Cittadella.
Durante gli scavi, intorno al 1570, fu ritrovata una targa in marmo, forse la base di una statua, con un’iscrizione dedicata alla dea egizia Isi, o Iside. Si ipotizzò che provenisse da un tempio, forse localizzato proprio nell’area dove stava sorgendo la Cittadella, o forse in riva al Po, dove oggi c’è la chiesa della Gran Madre. Questa ipotesi aveva la sua ragione di essere: pare infatti acclarato che prima dell’avvento del cristianesimo, in corrispondenza dell’odierna chiesa, ci fosse un tempio. Qualcuno dice dedicato a Giove, qualcuno appunto a Iside: non bisogna dimenticare che ai tempi della cristianizzazione dell’impero romano molti culti e tradizioni pagane vennero incorporate nelle tradizioni cristiane e che la figura di Iside, la sposa di Osiride, “madre del dio” e “regina dei cieli”, probabilmente influenzò quella della Vergine Maria: perfino nell’iconografia esistono dipinti di epoca romana con Iside che tiene in bracco Horus nello stesso modo con cui sono poi state rappresentate, dagli artisti cristiani, le tante Madonne col Bambino.
Torniamo a Torino e agli Egizi.
Iside era una divinità egizia, senza dubbio, ma che ebbe grande diffusione e molti proseliti in epoca romana, diffusa dai mercanti e dai legionari che tornavano dalle campagne militari in oriente. Nell’area archeologica di Industria (l’attuale Monteu da Po) si possono trovare i resti di un santuario eretto in onore di Iside tra il primo e secondo secolo dopo Cristo: e quei tempi Torino era già da più di un secolo entrata a far parte del mondo romano (l’avamposto militare di Giulio Cesare del 58 aC divenne colonia Julia Augusta Taurinorum intorno al 28 aC). In conclusione, tutte le evidenze in possesso dei nostri archeologi lasciano intuire che gli Egizi e il loro pantheon arrivarono a Torino solo “per interposta persona”, in epoca romana.
Non la pensavano così, invece, gli storici e gli studiosi dell’epoca che parlarono esplicitamente di origini egizie e addirittura divine della città di Torino. La ricostruzione della leggenda fu pubblicata nel 1577 nella “Storia di Torino” di Emanuele Filiberto Pingone e poi ripetuta nella “Historia della Augusta Città di Torino” di Emanuele Thesauro (1679). Secondo la leggenda, intorno al 1500 aC, un principe egizio in esilio giunse nelle terre che oggi accolgono Torino: fondò un centro abitato nelle vicinanze di un grande fiume che gli ricordava il Nilo e che fu la causa della sua morte, perché il principe vi annegò mentre partecipava a una corsa sulle bighe.
Col tempo la leggenda venne arricchita di dettagli… non sempre compatibili l’uno con l’altro.
Secondo alcune versioni il principe si chiamava Rahotep ed era un seguace del dio del sole Aton durante il regno di Amenophi I. Dopo qualche scontro con la potente casta sacerdotale fedele al dio Amon e al pantheon tradizionale decise che era meglio cambiare aria e lasciò la patria con il suo seguito. Secondo altre versioni il principe era seguace del dio toro Api, che ispirò il nome e il simbolo della città. In quel caso però non avrebbe certo potuto entrare in contrasto con i sacerdoti, dal momento che Api faceva parte del pantheon tradizionale ed era incompatibile con il culto, per la sua epoca progressista ed eretico, del Dio Sole.
Secondo alcuni il principe era Fetonte (il leggendario figlio di Apollo morto affogato nel fiume Eridano mentre cercava di condurre il carro del Sole), secondo altri si chiamava Eridano, era addirittura un dio (fratello di Osiride) e sarebbe stato lui ad aver dato nome al fiume della città da lui fondata. (Fiume successivamente ribattezzato Padam dalle popolazioni celtiche in onore dei numerosi pioppi che crescevano sulle rive. A quel punto da Padam a Po il passo è breve… ma stiamo divagando.)
Secondo alcuni sarebbe annegato nel punto del fiume dove sorge la Gran Madre, secondo altri all’altezza del Valentino, dove oggi si trova la Fontana dei Dodici Mesi.
Una leggenda, tante leggende con alcuni punti fermi in comune. Principi in esilio, viaggi avventurosi, divinità, una nuova città fondata in una nuova terra… non vi ricorda niente? La leggenda della fondazione egizia di Torino ricorda curiosamente quella della nascita della stirpe di Roma a opera di Enea e dei reduci troiani della guerra di Troia.
Oggi sappiamo che l’Eneide di Virgilio fu un’operazione di “marketing” finalizzata a giustificare le origini divine dei signori di Roma, predestinati dunque a dominare il mondo. Ottaviano Augusto, primo imperatore, era stato infatti adottato da Giulio Cesare, che spesso si vantava di discendere dalla dea Venere. Enea, il principe troiano protagonista dell’Eneide, non fu dunque scelto a caso, visto che nell’Iliade Omero lo riconosce come figlio di un mortale e della dea Afrodite (la versione greca di Venere).
Facciamo però un passo indietro e torniamo a Emanuele Filiberto, agli scavi della Cittadella e al rinvenimento della targa di marmo con l’iscrizione dedicata a Iside e prima ancora alla decisione di spostare la capitale del Ducato da Chambery a Torino.
Emanuele Filiberto fece questa scelta per facilitare il suo piano di espansionismo territoriale in direzione del Piemonte: una scelta politica molto chiara e ben delineata, ma che aveva bisogno di un riconoscimento anche “culturale”. Torino, all’epoca, era un centro abitato poco significativo: studiando i censimenti e l’ammontare delle tasse pagate dai cittadini, si capisce che la futura capitale del Regno d’Italia contava più o meno quanto città come Chieri e Moncalieri, che oggi fanno parte della “prima cintura”. Emanuele Filiberto aveva bisogno di una legittimazione per la sua scelta, e Torino aveva bisogno di un “pedigree”.
Qui dunque entrò in gioco il barone savoiardo Filiberto Pingone, a cui il Duca chiese di scrivere la storia della città destinata a diventare baricentro dello stato sabaudo. Pingone attinse da fonti di quanto meno dubbia attendibilità, plasmò leggende e regalò a Torino una fondazione mitica e divina, a opera di una stirpe antica e nobile come quella egizia.
La curiosità della famiglia Savoia per l’antico Egitto iniziò con Emanuele Filiberto e Pingone, ma continuò e divenne una costante per i secoli successivi. In epoca barocca, per esempio, nelle numerose feste e caroselli in costume comparivano spesso personaggi mitologici di origine egizia, o lo stesso Fetonte col carro del sole, alimentando la leggenda di consanguineità tra la città sabauda e il popolo delle piramidi, e tra la città sabauda e la sua origine “divina”.
Nel 1629 il Duca Carlo Emanuele I acquistò dai Gonzaga una collezione 270 di reperti egizi (o ispirati all’antico Egitto, ma allora non si faceva grossa differenza) per il suo Gabinetto di Curiosità. Tra questi reperti c’era una tavola di bronzo con incisioni d’oro e argento raffiguranti divinità egizie tra cui, al centro, Iside (ancora lei!). Questa cosiddetta “Mensa Isiaca”, tuttora conservata presso il Museo Egizio di Torino, fu oggetto di grande attenzione e molti studi. Pare che fosse stata recuperata durante il sacco di Roma del 1527 a opera dei Lanzichenecchi, salvata dalla barbarie (pare fosse sul punto di essere fusa da un fabbro per recuperarne i metalli preziosi) che non risparmiò tanti altri tesori dell’antichità. Ci si chiese quali misteri nascondesse e da quale epoca remota provenisse: oggi sappiamo che la Mensa Isiaca è di epoca romana e che le decorazioni geroglifiche non hanno altro significato se non ornamentale, ma tant’è. Il colpo d’occhio, innegabilmente, è di quelli che tolgono il fiato.
Intorno alla metà del 1700 Carlo Emanuele III (il figlio di Vittorio Amedeo II, l’eroe dell’assedio di Torino) chiese all’archeologo Vitaliano Donati di riportare dall’Egitto “qualche pezzo d’antichità o manoscritto raro o anche qualche Mummia delle più conservate […]“. Donati fu di parola, tornando a Torino con decine di nuovi reperti.
La collezione egizia dei Savoia ebbe nuove acquisizioni in epoca napoleonica grazie a Bernardino Drovetti, militare e diplomatico piemontese, che in vent’anni raccolse in Egitto diverse migliaia di oggetti antichi, tra cui statue, papiri e mummie. A Re Carlo Felice di Savoia, che acquistò i reperti di Drovetti, dobbiamo la nascita del Regio Museo delle Antichità Egizie (1824).
Jean-François Champollion, il decifratore dei geroglifici egizi, disse “la strada per Menfi e Tebe passa da Torino”, un riconoscimento del suo entusiasmo per quello che è tuttora considerata, grazie anche alle ulteriori acquisizioni di Ernesto Schiapparelli, una delle più importanti collezioni egizie del mondo.
C’è chi crede che al Museo Egizio siano conservati oggetti magici. Il primo di questi sarebbe il Libro dei Morti di Iuefankh, un papiro di epoca tolemaica contenente le formule per assicurare ai defunti il corretto viaggio nell’eternità.
Si dice che molti dei reperti possiedano un’energia (alcuni positiva, altri negativa) ed emettano radiazioni.
Nel 2002 fecero scalpore le notizie pubblicate dai quotidiani locali e nazionali in merito ad alcuni malori riscontrati da visitatori del Museo: emicrania, nausea, vomito e svenimenti.
Undici casi in un anno.
Il fatto che le vittime fossero per lo più bambini, e un’anomala quantità di monossido di carbonio trovata nel sangue di una di loro avvalorarono l’ipotesi di una cattiva aerazione di alcuni locali specie nei momenti di grande affollamento.
Si parlò anche di sostanze tossiche, come la trielina, usate per conservare i reperti o pulire i locali.
Così come erano iniziati gli episodi finirono e non si sono più verificati, anche grazie ai lavori di rinnovo e ingrandimento del Museo.
Ma la ragione, le indagini e il buon senso non sono mai riuscite a mettere a tacere le voci che parlavano di una “maledizione del faraone”.
Siamo a Torino “la città magica” per eccellenza, dopo tutto.
Le immagini presenti in questo post arrivano dal sito del Museo Egizio di Torino.