Oggi Chili di Libri ospita l’intervista all’autore all’interno del Blog Tour Di “La Città delle Streghe” edito da La Corte Editore.
La Storia. Agli inizi del 1700 la politica spregiudicata di Vittorio Amedeo II porta il Ducato di Savoia in guerra contro la Francia. Laura Chevalier, cresciuta vicino a Nizza, crede di essere al sicuro fuggendo a Torino, ma scopre che la capitale del Ducato non è una città come tutte le altre. Ci sono cose di cui non si può parlare se non sotto la protezione dei Santi, perché l’Uomo del Crocicchio è sempre a caccia di anime e potrebbe essere in ascolto. Misteriose presenze si aggirano per le vie quando scende la notte, e cadaveri mutilati vengono ritrovati la mattina seguente. Lo sa bene Gustìn, un tempo monello di strada che si è fatto le ossa fra imbrogli, furti e truffe fino a diventare una delle spie del Duca. Disilluso e intraprendente, è l’uomo giusto per fare i lavori sporchi, ma anche per mettersi a caccia di banditi, streghe e serial killer. Le loro vite si sfiorano mentre la città si prepara a sostenere l’assedio che deciderà i destini della guerra e del Ducato, tremando per i segni diabolici, affidandosi ai presagi celesti.
Buongiorno Luca e bentrovato. La prima cosa che mi è saltata agli occhi leggendo la tua biografia è che hai una formazione scientifica, sei laureato in ingegneria, dunque vorrei chiederti quando si è manifestata in te la passione per la scrittura e qual è il tuo metodo di lavoro sul romanzo, quanta parte occupano la ricerca e la revisione?
Buongiorno a voi e grazie per lo spazio che mi avete concesso. La mia passione per la scrittura è nata quando facevo quarta o quinta elementare. Tutto ebbe inizio con la lettura di un fumetto western in cui un personaggio con le sembianze di una persona cara veniva ucciso dai banditi e io, per la rabbia, decisi che avrei scritto una storia in cui quel personaggio sarebbe sopravvissuto. Da allora non ho più smesso di scrivere, anche se la maggior parte delle mie idee è poi finita nel cestino della spazzatura… Il mio metodo di lavoro alterna fasi puramente creative ad altre più analitiche e razionali. Ci sono momenti di ricerca, raccolta e catalogazione dei dati. Altri di studio delle fonti, altri di preparazione e studio della scaletta (dei capitoli, degli eventi, dei punti di vista dei personaggi). E poi, naturalmente, c’è la scrittura vera e propria.
Sei un lettore forte? Quali autori e generi prediligi? Hai un libro che rileggi spesso o che tieni sul comodino? E qualche autore di riferimento?
Leggere mi piace molto: dai classici al teatro, ai thriller e agli horror. Ho una predilezione per i romanzi ambientati in qualche epoca storica passata. I miei autori favoriti: Stephen King e Joe Lansdale, Carlos Zafon, Anne Rice, tra gli italiani Valerio Evangelisti e Donato Carrisi. Sulla classica isola deserta porterei “Il Conte di Montecristo” di Dumas e “I Miserabili” di Hugo.
Come mai hai deciso di ambientare il romanzo nel 1700? Quanto è stato difficile documentarsi su quel tempo? Ho notato che utilizzi molti termini specifici del tempo e questo denota una ricerca approfondita non soltanto della Storia ma anche delle tradizioni e degli usi. Come ti sei documentato per affrontare la scrittura di questa storia, quanta aderenza c’è alla realtà e quanto è frutto dell’invenzione?
Qualche anno fa, per caso e per curiosità, ho partecipato a una conferenza sull’assedio di Torino del 1706. E’ scoppiato un amore a prima vista per la storia della mia città e di quel periodo in particolare. Mi girava da tempo per la testa una storia, ma non sapevo dove né quando ambientarla… dopo quella conferenza ho avuto le risposte. Torino, inizio 1700. Ho cominciato a saccheggiare le biblioteche e le librerie specializzate. Ho studiato, studiato e studiato e fatto amicizia con il relatore della conferenza sull’assedio, lo storico Piergiuseppe Menietti, e da lui ho avuto un grandissimo supporto anche in termini di correzione dell’opera. Oggi posso dire con certezza di avere scritto un romanzo “verosimile” anche se i protagonisti e le loro vicende sono di fantasia, perché l’ambientazione in termini di luoghi e fatti è quella vera. Anche la parte sovrannaturale della storia è frutto di uno studio approfondito sulle leggende e le superstizioni dell’epoca.
C’è un personaggio a cui sei più affezionato e perché? Quanto è stato impegnativo trasferire sulla carta la psicologia femminile del personaggio di Laura?
Tutti i personaggi sono “le mie creature”, quindi provo affetto per ciascuno di loro. Tra i comprimari, ho una predilezione per il saggio e bonario Fioreste, tratteggiato sul ricordo del mio nonno materno, e per il capocarovana Berardo, che si ispira al leader dei Lou Dalfin, storico gruppo di musica occitana. Laura deve molto a due donne: il suo carattere, un mix di dolcezza, forza, ironia e devozione alla famiglia, assomiglia molto a quello di mia madre. A rendere Laura un personaggio a tutto tondo, più vero e interessante, è stato l’indispensabile contributo della mia compagna, che mi ha aiutato a revisionare l’opera prima della consegna definitiva all’editore.
Hai una colonna sonora che accompagna nella tua immaginazione le avventure dei personaggi nel romanzo?
Oh sì, eccome se ce l’ho. Scrivo sempre con musica di sottofondo per ispirarmi. A volte chiudo gli occhi per cercare di immaginare la scena, e la musica mi guida attraverso di essa a volte facendola perfino evolvere in modo diverso da quella che avevo pensato inizialmente. Una canzone del romanzo, poi, è la stessa che i personaggi avrebbero potuto sentire dal vivo durante la storia. Si tratta del “se chanto”, una melodia tradizionale occitana che il capocarovana Berardo suona in cima al col di Tenda, e che abitualmente i Lou Dalfin inseriscono nel loro repertorio durante i concerti. Volete immaginarvi Laura nella sua essenza di giovane ragazza piena di vita, entusiasmo e dolcezza? Ascoltate “il tema del villaggio” di Angelo Branduardi.
Le atmosfere gotiche sono un leit motiv della tua produzione, ottimo per affrontare temi quale l’occulto, il mistero e il paranormale: dai vampiri alle streghe, i tuoi romanzi sono in qualche modo collegati fra loro?
Sono molto affascinato dal genere e dall’atmosfera. Gli scritti di Bran Stoker, Mary Shelley, Lovecraft, Poe, fino a quelli più recenti di Anne Rice e Zafon, mi trasmettono come lettore un’emozione di inquietudine intrisa di eleganza e malinconia. Mi sento toccare corde molto profonde, molto mie. Il mio primo romanzo è nato come necessità di trasporre in forma di storia un’esperienza di vita reale, che ho fatto nel mondo del volontariato. Questo nuovo è un omaggio alla mia città, anzi alle mie due città (Torino, in cui vivo ora, e Avigliana, in cui ho vissuto per tantissimi anni). Punti di contatto tra i due? Forse sì. L’idea di fondo, a livello di genere, è la stessa.
Questo romanzo esce dopo molti anni dal precedente (la danza delle marionette). Come mai?
La fase di documentazione è stata necessaria ma inevitabilmente lunghissima. Una volta scritto il libro, poi, ho voluto essere molto selettivo nella scelta dell’editore. I tempi si sono per forza di cose dilatati…
Hai attinto in qualche modo alla memoria dei luoghi o la ricerca ti ha dato ispirazione per l’ambientazione del romanzo? Quanto diversa ti è apparsa la tua Torino nella ricostruzione storica?
La ricerca ha fatto molto. Per il resto, specie per la parte di storia ambientata ad Avigliana, hanno fatto molto i ricordi dei racconti fatti dai miei genitori e dai miei nonni. Alla fine della mia ricostruzione conoscevo la Torino del settecento così bene che si sovrapponeva a quella reale, spesso confondendomi. Mi è capitato di dare appuntamenti dando il nome di vie che adesso non si chiamano più così.
In che modo ti influenza nella stesura la tua formazione teatrale?
Il teatro mi è di grande aiuto innanzitutto nella costruzione dei personaggi. Quando inizio a delinearne il background e la personalità mi affido alle tecniche imparate a scuola di recitazione, per assicurarmi che i caratteri siano concreti e “a tutto tondo”. Sono anche facilitato, credo, nella costruzione di dialoghi che funzionano. Dovendo per necessità studiare, e spesso scrivere copioni, recitare un dialogo ad alta voce ne mette alla prova i punti deboli.
A poco più di un mese dalla sua uscita, “La Città delle streghe” sta riscuotendo un grande successo: era presente al Salone del Libro di Torino e a quello di Francoforte, al Lucca Comics e ad altre fiere del settore. Cosa ti aspetti da questa pubblicazione? Stai già pensando a un seguito?
Non mi aspetto nient’altro se non di godermi il momento. Se il libro viene letto e piace, ovviamente, sono contento e spero che venga scoperto e apprezzato da più lettori possibile! E nel frattempo… sì, sto pensando a un seguito. In realtà ci ho pensato sin dall’inizio, visto che “la Città delle Streghe” è autoconclusivo ma lascia volutamente aperte molte domande.
Il nostro blog è frequentato da molti aspiranti scrittori, c’è qualche consiglio che ti andrebbe di condividere con loro?
Ho scritto una storia e l’ho proposta a qualche editore. Qualcuno mi ha ignorato, qualcuno mi ha detto “no grazie”. Ho aspettato, ho penato, ho creduto che la mia storia non piacesse a nessuno e non fosse all’altezza di una pubblicazione. Credo che siano cose che tutti gli aspiranti scrittori abbiano vissuto sulla propria pelle. Sono stato fortunato a trovare un editore che ha creduto in me ma, aggiungo, credo di averci messo del mio per arrivare fin qui. Innanzitutto sono stato selettivo. Per mia scelta non ho puntato sul self publishing perché non avrei abbastanza tempo da investire nella promozione, e perché continuo a pensare che un buon editore sia un biglietto da visita migliore per farsi leggere da un pubblico di persone che non ti conoscono. Per mia scelta ho fatto un’opera di setaccio sugli editori da contattare: ho evitato quelli troppo grandi, ho puntato su quelli medi e piccoli ma con una solida reputazione. Sono stato paziente, non mi hanno scoraggiato i tempi lunghi di attesa, i rifiuti. E infine sono stato, credo, umile, nell’accettare le correzioni proposte dall’editore prima della pubblicazione. Non ho dato per scontato che la mia opera fosse già perfetta così come l’avevo proposta. Ci ho lavorato fino al giorno prima delle stampe!
Infine, vorrei chiederti se c’è qualcosa che vuoi dire ai nostri lettori e che non ti ho chiesto…
Vorrei dire grazie. Grazie perché un libro non è mai opera solo di colui o colei che lo firma. Vorrei dire grazie a tutte le persone che mi hanno sostenuto e aiutato in concreto durante la fase di ricerca, di studio, di scrittura. A partire dalla mia dolce metà, che ha studiato il manoscritto ai raggi x e l’ha messo alla prova facendomi correggere i punti più deboli. Vorrei dire grazie all’editore e al suo staff instancabile nel supportarmi in modo continuo e concreto. E infine vorrei dire grazie a tutti coloro che leggono, e non solo quelli che mi leggono. Uno scrive e racconta storie perché c’è qualcuno che ama leggere e ascoltare storie. Senza i lettori gli scrittori non hanno senso di esistere. E infine, ça va sans dire, ringrazio Chili di Libri per la gentilezza e la disponibilità con cui mi ha accolto!
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per leggere l’articolo sul blog ecco il link
Intervista all’autore Luca Buggio de “la città delle streghe” (La Corte Editore)