Le imbarcazioni scorrevano sul Po, alcune così cariche che la chiglia sprofondava quasi ai bordi, e sarebbe bastato uno scossone per far imbarcare acqua. Quelle costrette a risalire la corrente venivano trainate da buoi sulla riva, e manovrate da uomini che saggiavano il fondale con i remi per non farle incagliare.
Gustìn rimase a osservare un barcone che attraccava. Le bestie, esauste, vennero staccate dal giogo e portate in una stalla lì vicino. I facchini cominciarono a caricare sacchi di farina, destinati ai fornai della città.
Borgo del Moschino, che di notte dava lavoro a contrabbandieri e puttane, alla luce del sole accoglieva pescatori, scaricatori e lavandaie. Gli unici a non avere orari erano i ladri e i truffatori. Di quasi tutti quei mestieri, dai più ai meno onesti, Gustìn aveva fatto pratica sin da bambino.
Sollevò lo sguardo dall’altra parte del fiume, dove le reti stese dai pescatori erano baciate dal sole. Sulla sommità dell’altura boscosa che i torinesi chiamavano “monte” sorgeva il convento dei padri Cappuccini. A destra e a sinistra, assecondando il corso del Po, si stendevano colline punteggiate di boschi e vigne, cascinali, fortini e torri d’avvistamento.(La Città delle Streghe)
La Torino del passato abbondava di luoghi in cui era poco consigliabile avventurarsi dopo il tramonto, e uno di questi era di certo Borgo Moschino. Costruito lungo le rive del Po là dove oggi comincia corso San Maurizio, si estendeva fino agli attuali Murazzi.
Bisogna infatti immaginare che fino all’epoca medievale le mura della città finivano in corrispondenza di palazzo Madama, e che dove oggi c’è via Po c’erano campi e prati. Con l’ampliamento d’epoca barocca, e con la costruzione di via Po, la città finiva dove oggi inizia piazza Vittorio, e i prati si estendevano da lì fino al fiume.
Il Po era navigabile e più o meno in corrispondenza dell’attuale piazza Vittorio c’era addirittura un piccolo porto fluviale, dove approdavano chiatte e barconi che rifornivano Torino, in particolare di materiali edili (non a caso la strada che collegava il fiume alla città si chiamava ‘strada della Calce’) e di vino (ragione per cui la vicina piazza Carlina era stata scelta per il mercato vinicolo).
In quelle baracche misere e fatiscenti vivevano famiglie povere e costrette a mestieri degradanti (spesso illegali). Pescatori e lavandaie di giorno, di notte ladri, contrabbandieri e prostitute. Una favela in miniatura, insomma.
Solcato da una via maestra che aveva il nome poco invitante di Contrada delle Pulci, Borgo Moschino era ricettacolo di delinquenti, insetti e parassiti, e perfino le forze dell’ordine ci pensavano due volte prima di avventurarvisi.
Lo squallore del quartiere è lo scenario perfetto di un romanzo… ma non sono certo stato io il primo a pensarci. La Contrada delle Pulci è infatti il luogo in cui è ambientato un thriller di fine 1800: “i misteri di Torino”, di Ausonio Liberi.
Il Moschino venne demolito nel 1870, per ragioni di sicurezza e igieniche. Oggi i Murazzi costituiscono uno dei luoghi della movida, ma non sono estranei a episodi di criminalità. La tradizione, almeno in parte, viene rispettata.
Il bel dipinto di Bernardo Bellotto (1721-1780), conservato presso la Galleria Sabauda, ci mostra il vecchio ponte sul Po (quello che oggi unisce piazza Vittorio a corso Casale). Si riconosce sulla sinistra il Monte dei Cappuccini: sulla destra, in riva al fiume, il Borgo Moschino.