Il luogo in cui oggi sorge il duomo è ricchissimo di storia. A poca distanza si trova infatti tutta l’area archeologica, con il teatro romano e la Porta Palatina, e il sito doveva essere già dedicato al culto religioso: si ipotizza, anche se non si hanno conferme, che ci fossero tre templi dedicati a Giove, Giunone e Minerva (la triade “capitolina” della religione romana). Si ha invece certezza che in epoca paleocristiana nell’area sorgessero tre chiese dedicate a San Salvatore, a Santa Maria di Dompno e a San Giovanni Battista: quest’ultima doveva essere la più grande e importante dal momento che, in epoca longobarda, san Giovanni fu proclamato patrono del regno.
Le tre chiese furono abbattute per fare posto a una chiesa unica e più grande, alla fine del 1400, che aveva già l’aspetto di oggi. Il campanile era già presente e fu lasciato intatto, mentre la Cappella della Sindone è stata costruita in epoca più recente, proprio al fine di accogliere il sacro lino: i lavori imponenti iniziarono nel 1649 per durare quasi 50 anni. Nella prima metà del 1700 anche il campanile subì interventi che ne sopraelevarono l’altezza di 12 metri.
Facciamo un passo indietro e proviamo a immaginare questo luogo ai tempi dell’assedio di Torino. La facciata era liscia e la scalinata spaziosa come la vediamo oggi. Da qualche parte in cima alla scalinata c’era una bassa colonna con un anello di ferro che, pare, in tempi antichi veniva usata per esporre al pubblico coloro che avevano commesso qualche grave colpa verso la religione. La versione clericale della gogna, insomma.
La piazza antistante al duomo era particolarmente elegante, con un bel palazzo porticato sostenuto da colonne di marmo bianco. Di questo palazzo purtroppo non rimangono che alcune fotografie d’epoca (quella che ho scaricato proviene dal sito di Torino Sparita), dal momento che fu abbattuto nel ventennio cedendo il posto, negli anni 60, a una costruzione ben più moderna e molto meno affascinante.
All’interno della chiesa, le tre navate erano decorate da stendardi militari, spesso guadagnati ai tempi di guerra, e da pilastri con busti di personalità civili ed ecclesiastiche.
L’arcivescovo Vibò, che aveva nella cattedrale di San Giovanni Battista la sua sede, aveva sotto di sé cinque vescovi suffraganei e un collegio di venticinque canonici: vestivano una cappa viola foderata di seta color porpora d’estate, e di pelliccia d’ermellino d’inverno.
La chiesa ospitava un gran numero di reliquie: il corpo di San Martiniano sotto l’altare maggiore, le ceneri di San Secondo, altre reliquie di San Giovanni Battista e Sant’Onorato, e perfino un pezzo di legno della Croce, tutti posti in reliquiari d’argento. Tra gli oggetti di voto custoditi c’era anche il calice del famoso “miracolo dell’ostia“, ma nessuno sapeva dove fosse: si diceva fosse murato all’interno di una nicchia, ma nessuno ne conosceva l’ubicazione.
All’inizio del 1700 il duomo era famoso anche per la sua vocazione “musicale”: ospitava infatti due istituzioni dalla finalità canora.
La prima di queste era il Collegio degli Innocenti, sei bambini diretti da un maestro di musica e uno di “grammatica” che fungeva anche da educatore.
In cambio dell’educazione ricevuta i giovanissimi cantori dovevano partecipare a tutte le funzioni nella cattedrale e a quelle più importanti nelle altre chiese della città. All’epoca si trattava di una grande opportunità per intraprendere una carriera ecclesiastica o musicale. I bambini rimanevano a carico del Collegio dal momento dell’ammissione fino all’adolescenza (ossia quando giungeva il mutamento della voce), quando venivano sostituiti da altri candidati per mantenere il numero di sei. Sembra che le selezioni fossero piuttosto severe e che la qualità artistica del piccolo coro fosse molto elevata.
Il duomo aveva anche una sua Cappella di Cantori adulti, che si occupava di fornire l’accompagnamento musicale alle funzioni e che era composta da musici e coristi. I cantori erano tutti ecclesiastici (con un minimo di tre e un massimo di sei-sette), con preferenza per le voci di basso. I musicisti erano per lo più laici, da tre a dodici, ugualmente obbligati a seguire tutte le funzioni. Sia il Collegio che la Cappella ricevevano rendite in natura (cibo, ma anche proprietà, case, cascine, campi, canoni d’affitto) o denaro.
Il pulpito della cattedrale vedeva sovente le prediche dei padri teatini, particolarmente apprezzati a Torino per il loro servizio di umiltà e devozione, e famosi anche per il nome del primo rettore della chiesa di San Lorenzo, quel Guarino Guarini che era anche architetto, e non di poco conto!
Durante l’anno il duomo festeggiava con grande solennità alcune ricorrenze: durante il Corpus Domini avveniva una grande processione in cui intervenivano il clero, le autorità civili e i magistrati. Dopo l’assedio di Torino, in segno di ringraziamento, si iniziò a celebrare la Natività di Maria Vergine con un’altra processione dove veniva portata una statua d’argento della Madonna di grandezza naturale. E naturalmente si festeggiava San Giovanni Battista, con l’esibizione della sua reliquia e un’imponente processione di autorità civili e religiose: c’era l’usanza di regalare a tutti i canonici, al loro passaggio davanti al palazzo civico, un limone, un mazzetto di fiori, e un’antica moneta (un quarto di Ducatone) che a fine funzione veniva scambiata con l’equivalente di moneta corrente.
L’immagine in testa al post è tratta da un’illustrazione della “Guida de’ forestieri per la real città di Torino” del 1753.