Quando passarono davanti alla Chiesa dei Santi Martiri, Felice fece capire che voleva entrare. Tommaso disse: «Ecco un’idea che sono felice di abbracciare, in considerazione di quello che ci aspetta.»
«Che ci aspetta?» ripeté Gustìn. «Siamo noi che partiamo, voi ci accompagnate solo a Porta Susina.»
«Ogni impresa ha il suo lato debole. Il vostro, temo di esserlo io. In vostra as-senza non mi resterà molto da fare, almeno vi accompagnerò con la preghiera.»
«Il Conte troverà di sicuro qualcosa: siete un uomo pieno di risorse.»
«E voi siete troppo buono con me…Dio ve ne renderà merito anche se siete un miscredente» osservò Viarengo, varcando la soglia della chiesa.
Felice fece segno a Gustìn.
“Tu non vieni?”
«In casa dei Gesuiti? Piuttosto mi butto nel Po con una pietra al collo.»
Il sordomuto indicò le statue che adornavano la facciata della chiesa, i martiri della Legione Tebea che proteggevano Torino: Solutore, Avventore e Ottavio.
Gustìn si strinse nelle spalle.
«Grazie, posso fare a meno della protezione dei Santi.»
Prima di entrare, Felice gli rivolse uno sguardo di paziente rassegnazione. Poi si portò l’indice alla tempia, in un gesto inconfondibile.“Tu sei matto, Gustìn.”
(La Città delle Streghe)
Parlare di questa bella chiesa nel centro storico di Torino significa, come fa capire chiaramente Gustìn nel brano tratto dalla Città delle Streghe, parlare dell’ordine della Compagnia di Gesù.
I Gesuiti giunsero a Torino intorno al 1560 a dirigere un collegio nell’isola di San Paolo, delimitata dalle vie Garibaldi (al tempo Dora Grossa), Barbaroux (Guardinfanti), degli Stampatori e Botero (del Fieno). A invitarli fu un’istanza della allora nascente Compagnia di San Paolo con l’approvazione del Duca di Savoia Emanuele Filiberto. I Gesuiti si stabilirono inizialmente in una casa donata da tale don Antonio Albosco ma in pochi anni poterono fondare una nuova chiesa, grazie alle donazioni di alcuni gentiluomini torinesi e alla decisione dell’Abate Parpaglia di destinare un terzo del reddito della Badia di San Solutore, da lui amministrata.
La Chiesa dei Gesuiti sorse nello stesso isolato di San Paolo e fu dedicata ai Santissimi Solutore, Avventore e Ottavio, martirizzati in epoca romana nei prati di Valdocco, di cui accolse le reliquie, fino ad allora rimaste in deposito presso la Consolata. La prima pietra fu posata il 13 aprile del 1577, alla presenza dell’arcivescovo Gerolamo della Rovere e del duca Emanuele Filiberto. Il progetto, dell’architetto Pellegrino, si ispirava al disegno della chiesa di San Fedele dei Gesuiti di Milano. I lavori richiesero appena 7 anni per rendere agibile il luogo di culto e accogliere le reliquie, ma quasi altri settanta per completare le rifiniture e le decorazioni interne.
Rifiniture e decorazioni che già da sole lasciano intendere il ruolo di primissimo piano, l’influenza e la ricchezza ottenute dall’Ordine in poco meno di un secolo dal loro arrivo a Torino. I gesuiti erano entrati con forza nella vita quotidiana torinese, sia per il concorso di popolo che accorreva ad ascoltare i predicatori, sia per il ruolo “educativo” nei confronti della classe dirigente: il Collegio dei Nobili (oggi Accademia delle Scienze) e la Congregazione dei Mercanti e degli Artigiani (che non a caso ha la sua cappella proprio accanto alla chiesa) erano legate a filo doppio con la Compagnia di Gesù.
L’altare maggiore fu progettato dal primo architetto di corte, Filippo Juvarra, nel 1730, per accogliere l’urna con le reliquie dei Santi Martiri. L’opera dello Juvarra andava a prendere il posto di un altro altare realizzato con un lascito testamentario della prima Madama Reale, Cristina di Francia. A ricordo di quel lascito così prestigioso sono rimasti gli stemmi della duchessa sugli altari maggiori del presbiterio.
L’immagine in testa al post è tratta da Wikipedia, quella relativa agli interne della chiesa dal sito della Compagnia di San Paolo.