Laura aveva il cuore in gola, e le ci volle un po’ di tempo per rendersi conto che non aveva chiesto nulla della storia dell’aggressione al musicista. Ma forse non occorreva più: aveva già avuto le sue conferme.

A Torino i Santi facevano del bene in carne ed ossa.

Si diresse, senza fretta, verso la chiesa di San Francesco. Adesso che sapeva dove si trovava, i muri le sembravano più puliti, la strada più larga, i volti della gente meno ostili. Un’ombra passò davanti al sole: una distesa di nubi avanzava dai monti della Val di Susa. Forse più tardi avrebbe piovuto, e per allora Laura avrebbe fatto meglio essere a casa: ma prima aveva bisogno di pregare. Aprì la porta, scostò la pesante tenda di velluto ed entrò in chiesa.

Il colonnato divideva l’interno in tre navate: lungo quelle laterali, le nicchie accoglievano statue di marmo e dipinti ai cui piedi brillavano i lumini delle candele votive. Un cono di luce scendeva dall’alto, illuminando un tratto di pavimento sconnesso e devastato: Laura notò che era troppo chiaro per essere di una finestra, e alzando gli occhi scoprì che una parte del tetto era sfondata: non tutte le dimore di Dio sapevano resistere alle bombe come la Consolata.

(La Città dell’Assedio)

Intorno al 1213, San Francesco intraprese un viaggio che lo portò ad attraversare il nord Italia, la Francia e la Spagna. Ogni volta che si fermava da qualche parte, si trovava circondato da fedeli trascinati dal suo esempio ad abbracciare la vita della perfetta povertà. Ricevette in dono piccoli conventi e chiesette abbandonate, ma che dopo il suo passaggio cominciarono a crescere e ingrandirsi, diventando case Francescane, amate dal popolo e protette dalla nobiltà.

Così anche a Torino, secondo le testimonianze di storici come il Pingone, sorse un convento francescano nel 1214. Torino era una piccolissima città di 4000 abitanti, chiusa nella cerchia delle mura romane. Le case erano piccole, le vie strette e buie, e le chiese disadorne e povere. La devozione dei torinesi verso San Francesco, al suo arrivo, fu tale e tanta che l’accoglienza fu trionfale, sia da parte del popolo che da parte dei nobili.

Una delle famiglie più in vista, quella dei Della Rovere, donò al santo una chiesa che avevano edificato a loro spese, dedicata a San Vittore, che divenne così la prima casa Francescana di Torino. Di questa prima chiesa rimane testimonianza all’interno della torre campanaria, il cui rifacimento barocco ha toccato solo il rivestimento esterno: all’interno, infatti, rimane il muro medievale con i mattoni disposti di punta e fascia (ossia un mattone
disposto per lungo seguito da altro collocato di testa) e le finestre, anche se murate, col caratteristico arco acuto. E’ presumibile pensare che in epoca gotica il campanile fosse alto e poderoso, sormontato da una guglia.

I Padri Francescani esercitarono fin da subito un grande influsso sulla comunità torinese, sia per il loro sapere che, specialmente, per la loro virtù. Presso di loro si custodivano infatti la cassa e l’archivio del Comune, e nel loro refettorio si adunavano spesso i Savi del Consiglio.

I frati avevano un ruolo importante per la vicina Università: erano lettori e membri del Collegio Teologico, ruolo non da poco se si tiene conto che a Torino solo i Francescani e i Domenicani tenevano vive le discipline teologiche all’università.

Le cappelle della chiesa erano patronate da famiglie importanti come i Nomis, i Turinetti e i conti Fontanella di Baldissero, o da potenti corporazioni come quelle degli speziali, dei sarti e dei serraglieri. Questo lascia intuire che nel giro di un paio di secoli lo spirito iniziale che animava l’ordine francescano, ossia la povertà, avesse un po’ perso, come dire, mordente nei suoi luoghi di culto più frequentati e popolari. La Chiesa risolse l’apparente contrasto separando i conventuali francescani dal resto dell’ordine, ma questa è un’altra storia che ci interessa solo per annotare che dal 1517 la chiesa di San Francesco rimase ai conventuali.

Nella chiesa, dal 1580 e per ben 7 anni venne conservata la Santa Sindone, che prima era stata conservata presso la cappella del palazzo ducale, poi presso il Duomo. Le ragioni del trasferimento non sono note: pare che minacce di guerra avessero consigliato il duca Carlo Emanuele I di spostare la più santa delle reliquie in un posto più sicuro, e che l’onestà dei Francescani, e la loro devozione verso la Passione di Cristo fosse una garanzia per consegnare loro la Sindone.

Dalle testimonianze dell’epoca sappiamo che la chiesa aveva dodici cappelle, i cui altari erano tutti patrocinati da famiglie nobili, e che l’altare dei Santi Vittore, Modesto e Crescenzio era alquanto malridotto (pare vi pendessero davanti le corde delle campane!). Dalla fine del 1500 e per tutto il 1600 ci furono svariati lavori di ristrutturazione che cambiarono via via l’aspetto originario della chiesa dandole quello che oggi conosciamo.

Durante l’assedio di Torino del 1706 la chiesa dei Frati minori diede il suo contributo, accogliendo le salmerie (carriaggi e vettovaglie) del Comune di fronte al sagrato, e le munizioni da guerra nel refettorio. Dalle cronache dell’assedio emerge anche un macabro particolare: una bomba francese sfondò il tetto della chiesa, il pavimento, e saltò in aria nei sotterranei, scagliando tutt’intorno pezzi di marmo, brandelli di cadaveri recenti e vecchie ossa.

La storia della chiesa di San Francesco non si ferma certo all’inizio del 1700, anzi. Si dovrebbe parlare delle opere del teologo Luigi Guala e del suo Convitto rivolto alla formazione dei giovani preti, di quelle del Beato Giuseppe Cafasso nei confronti degli infermi, dei carcerati e dei miserabili. Si dovrebbe parlare di San Giovanni Bosco e del suo Oratorio Salesiano. Queste figure, così importanti per la diffusione di una “spiritualità sociale” molto sentita a Torino, non sarebbero potute crescere e formarsi in un luogo migliore di quello nato sulle orme di San Francesco.

L’immagine in testa al post, scattata da Paolo Mussat Sartor e Paolo Pellion di Persano, è tratta dal sito di Museo Torino.