Nella via che a tutt’oggi prende il suo nome, sorge la chiesa dedicata a Santa Teresa d’Avila. La storia di questo luogo è strettamente legata a quella dell’ordine dei Carmelitani Scalzi, arrivato a Torino nel giugno del 1622 da Genova.
I due primi confratelli dell’ordine, inizialmente alloggiati presso la chiesa di Santa Maria di Piazza, ricevettero in donazione dal Duca di Savoia una casa nella zona dell’Ospedale dei Santi Maurizio e Lazzaro (di cui parlo in questo post). Il numero di vocazioni richiese un’ampliamento e nel 1624 l’ordine si spostava in tre case nella contrada del Gambero, vicino alla Cittadella. Una di queste case apparteneva a tale Gian Domenico Taddei, che nel donarla prese l’abito carmelitano.
Era un’epoca in cui le condizioni igieniche e sanitarie erano piuttosto carenti, e gli ambienti non erano affatto salubri. Tra il 1623 e il 1630 (anno di peste a Torino), tra le mura del piccolo convento carmelitano si spensero ben undici religiosi.
I carmelitani scalzi piacevano molto ai torinesi per l’austerità dei loro costumi, la santità della loro opera, per l’onestà del loro predicare privo di malizia e secondi fini. A quanto pare, a quel tempo certe doti erano merce rara perfino nel clero.
Un tale Giovanni della Croce da Bordeaux, membro dell’ordine, fu confessore di Cristina di Francia, la prima Madama Reale (ho parlato di lei in questo post). Quando, in uno dei tanti momenti di tensione con la Francia, fu emanato un bando che proibiva ai francesi di restare a Torino, Cristina non volle rinunciare al suo confessore e lo riceveva in segreto. Si racconta che una volta, per non farsi sorprendere con lui dal marito, lo fece calare dalla finestra di Palazzo Madama dentro una cesta. Il duca, Vittorio Amedeo I, pare l’avesse presa bene e che non solo perdonò la moglie, ma diede al prete il permesso di restare in città.
Si possono certo fare molte congetture sul genere di confessioni che Giovanni della Croce facesse alla Madama Reale. Non possiamo smentirle né confermarle. E’ certa però la fama di serietà dei carmelitani scalzi a quell’epoca, e in particolare dello stesso Giovanni della Croce che, morto in odore di santità nel 1633, fu riesumato dopo due anni per dei lavori nella cappella in cui era stato sepolto e trovato perfettamente intatto, a differenza degli abiti ormai marciti. Il sepolcro andò distrutto insieme alla chiesa durante la “guerra dei cognati“, e i Carmelitani dovettero cercare un altra casa.
Fu sempre grazie alla benevolenza della Madama Cristina che nel 1642 fu posato il primo mattone di una nuova chiesa dedicata proprio a Santa Teresa d’Avila. Un’iscrizione alle porte della chiesa ringraziava la Madama Reale chiamandola “grandi regi figlia, sorella, moglie, madre e zia”. Ed è proprio qui che riposano le ceneri di Cristina di Francia, come da sue volontà, a dimostrazione di un legame fortissimo durato tutta la vita.
Una curiosità ‘architettonica’, anzi due. Il disegno della facciata della chiesa si ispira chiaramente, e non a caso, a quella di Santa Cristina in piazza San Carlo. Contestualmente alla costruzione di Santa Teresa fu demolita una delle antiche porte romane di Torino, quella denominata “Marmorea”. I marmi della porta andarono ad adornare la chiesa. Anche allora valeva il principio del “non si butta via niente”.
Dei tantissimi nomi di predicatori e religiosi appartenenti all’ordine che hanno lasciato il segno in questa chiesa vale invece citare quello di una donna che è seppellita qui: Margherita Falcolombella, moglie del senatore Perracchino.
Fu lei a patrocinare una delle tante fondazioni benefiche della città, il Deposito di San Paolo, che accoglieva un orfanotrofio femminili. Il ruolo della nobildonna come sostenitrice dell’istituzione era talmente conosciuto a Torino che le bimbe del Deposito venivano chiamate Perracchine. Ma questa è un’altra storia, avremo tempo per raccontarla.
L’immagine in testa al post è tratta da wikipedia.