Bògia-nen (che in dialetto significa “non ti muovere”) è un soprannome popolare che contraddistingue i torinesi da più di due secoli e mezzo. In molti sono convinti che bògia-nen stia a indicare gente che non si muove nel senso di passiva, indolente, testarda e chiusa in se stessa, commettendo in questo modo un grosso errore.
Anzi due.
Il primo errore è che il soprannome è nato da un aneddoto storicamente accertato risalente alla battaglia dell’Assietta del 1747, quando 7000 sabaudi a difesa di un passo di montagna tennero testa e sconfissero 40000 francesi facendo quasi 6500 vittime e perdendo appena 219 uomini. Con i dovuti paragoni, si potrebbe dire che anche il Piemonte ha avuto le sue Termopili, ma che a differenza degli spartani di Leonida ha vinto! Al re Carlo Emanuele III (figlio del Vittorio Amedeo II vincitore dell’assedio del 1706), che ordinava ai suoi uomini di ripiegare su Torino per riorganizzare le difese, questi risposero: “nojàotri i bogioma nen” (noi non ci muoviamo). Né passivi né indolenti, dunque, i torinesi. Testardi sì, nel senso buono: ostinati, determinati, coraggiosi.
E anche innovativi.
Ecco il secondo errore. Torino è sempre stato un modello di innovazione, non solo tecnologico e industriale (fin qui sarebbe facile arrivarci), ma anche socio-assistenziale!
Non tutti sanno, per esempio, che il primo servizio sanitario per i poveri a spese dello stato sabaudo risale al 1581. Il 12 febbraio, per assistere “molti poveri infermi senza mezzi di sussistenza, i quali o morivano o
pullulavano altri mali molto maligni”, il Comune mise sotto contratto un barbiere (eh sì, all’epoca i barbieri facevano i cerusici, oltre che occuparsi di barbe e capelli) dell’Ospedale di San Giovanni, per “far la cura e salassare li poveri bisognosi e senza mezzi”.
Il 20 marzo dello stesso anno si raddoppiò la forza lavoro dedicata al servizio sanitario pagando 175 fiorini l’anno un tal Pietro Antonio Manasso.
Nel 1602 si nominò “medico dei poveri” il dottor Sebastiano Trave, e l’onorario salì a 45 scudi (uno scudo valeva 8 fiorini). Nel 1624 lo stipendio salì a 60 scudi. I medici dei poveri divennero due nel 1649, quattro nel 1675, quattro con quattro cerusici nel 1678.
Nel 1748 (l’epoca della battaglia dell’Assietta) i medici erano nove con uno stipendio di 296 lire all’anno, e i cerusici 11, pagati 118,75 lire ciascuno.
Era nata la mutua.
L’immagine ritrae il dipinto “il farmacista-cerusico” di Pietro Longhi