La contessa delle Lanze sedeva su un divanetto, intenta ad ascoltare la conversazione: una nuvoletta di fumo saliva dalla tazza che teneva tra le mani. Il suo abito era decorato da ricchi ed elaborati ricami in filo d’oro. Non portava parrucca, ma i capelli incipriati erano adorni di perle, piume e nastri. Tutto, perfino il ventaglio, s’intonava con lo stesso colore rosa del vestito. Era stata amante del vecchio Duca intorno alla metà del secolo passato, quindi doveva essere intorno alla sessantina, ma sembrava molto più giovane.
Lavorando per un profumiere, Laura conosceva gli effetti dell’abuso dei cosmetici sul viso delle dame di quell’età: cerone, allume e il “fuoco di Sant’Elmo” usato per cancellare le rughe, bruciavano la pelle dandole un aspetto disgustoso. Gabriella di Marolles, invece, mostrava un viso fresco, pulito e solenne.
Un aspetto su cui mi sono documentato parecchio, visto che Fioreste, uno dei protagonisti, è un profumiere. (Per inciso, la scelta del nome è un po’ particolare, ma arriva dal fatto che mi piaceva l’assonanza con i fiori.)
In modo più o meno esplicito, la Chiesa condannava l’uso dei cosmetici. L’aspetto fisico è un dono di Dio e non può essere modificato. Colorarsi il volto, inoltre, suggeriva seduzione e libertà di costumi.
In più, gli effetti del trucco esagerato spesso rasentavano il ridicolo. “Il Cortegiano” del Castiglione, prende in giro la donna “con la faccia impiastrata che pare abbia la maschera, e non osa ridere per non farsela crepare, né si dimostra mai di colore se non quando la mattina si veste; nel giorno si mostra solo al lume della torcia, come mostrano i cauti mercanti i loro panni in luogo scuro”.
Il trucco però aveva larga diffusione, dai belletti sul viso ai nèi di taffettà portati sul viso, alle ciprie fra i capelli. E poi: profumi, ciprie, pomate, unguenti, fazzoletti cosmetici, talchi.
E i rossetti! Cocciniglia dall’America, legno del Brasile, alcanna della Provenza o della Linguadoca, vermiglio ricavato dal mercurio o dallo zolfo componevano rossi di varie qualità… e pericolosità: come il “cinabro” o il “fuoco di Sant’Elmo”, che si mangiava le rughe e le cicatrici, ma anneriva i denti, provocava un alito pestilenziale e a lungo termine bruciacchiava la faccia.
Sempre nel Seicento comparve il primo fard, che però era utilizzato dalle donne per far risaltare la pelle bianca.
Ci si smetteva di truccarsi per motivi molto seri.
Madame de Maintenon lo fece alla morte di Luigi XIV, non avendo “più colui per il quale faceva uso di queste cose”; Maria Teresa d’Austria lo eliminò a trentanove anni perché si riteneva già troppo vecchia. Mademoiselle de Montpensier rifiutò di mettere la cipria il giorno in cui cercò un sincero chiarimento con Anna d’Austria dopo l’esplosione della Fronda: “Poiché non voglio ingannare Vostra Maestà in niente, non ho voluto mettere la cipria, in modo da mostrarvi i miei capelli”.Maria Mancini, doveva invece “togliere le mosche” (i nei di taffettà) perché suo marito non le avrebbe altrimenti rivolto la parola.
Infine… anche gli uomini usavano il trucco e soprattutto il rossetto: Mazarino, per esempio, si truccava per sembrare più giovane!
Il ritratto di copertina è quello di Giovanna Battista di Savoia Nemours, la Madama Reale, madre del Duca Vittorio Amedeo II, ed è conservato alla reggia di Venaria.