Nel 1563, sotto lo stabile governo di Emanuele Filiberto, sette cittadini torinesi fondarono la Compagnia di San Paolo, con lo scopo di soccorrere la popolazione, gravata dalla miseria, ma anche di opporsi all’espansione della riforma protestante attraverso le “opere buone”.
La Compagnia trovò ampia adesione nella classe borghese sabauda e cominciò a fondare istituzioni di carattere
assistenziale. Una di queste era la Casa del Soccorso, istituita nel 1589 e destinata a “ricevere ed educare giovani figlie nate in Torino, prive del padre, più facilmente esposte perciò ai pericoli della vita”.
Oltre alle ragazze in situazioni difficili, la Casa ospitava parenti femmine dei membri della Compagnia, ma anche educande dietro pagamento di una pensione.
Il numero dei posti gratuiti dipendeva dall’entità dei lasciti ricevuti dalle persone pie. Quella dei lasciti era una moda dell’epoca. La Confraternita non serviva solo a soddisfare i bisogni spirituali degli adepti, ma anche a garantire loro la “visibilità sociale”.
Il primo esempio dl lascito, nel nostro caso, è quello del frate cappuccino Simone (al secolo Marco Aurelio Pizzone) che donò 50 scudi “al Soccorso in Torino, più scuti settanta alle Orfanelle di Torino per maritarle”. Più altri 150 alla Compagnia affinché dotasse con 20-25 scudi alcune “figliole povere, virgini et da bene”. Il frate indicava come beneficiarie della disposizione “Antonia, Francesca, et altre figliole del signor sargente Bonifacio della Rossa, habitante in Torino”.
Nella Casa del Soccorso, “oltre i lavori convenienti per una giovane civilmente educata”, s’insegnavano “la
lingua italiana, la francese, la calligrafia e l’aritmetica”.
La Casa del Soccorso si trovava appena oltre piazza Carlina, sulla sinistra andando verso il Po, ed era talmente importante da dare il nome a quel tratto di strada che infatti si chiamava “via del Soccorso”.
L’immagine in testa al post è dal quadro “due donne alla finestra” di Bartolome Esteban Murillo