La città delle streghe è un romanzo che ingloba in sé non solo il thriller e il romanzo storico, ma anche quel fascino insidioso che da sempre le forze occulte sono in grado di suscitare. Tali caratteristiche risultano equilibrate con maestra e sapienza, così da far arrivare nelle mani dei lettori un’opera indimenticabile. Definirlo semplicemente un libro bello sarebbe estremamente riduttivo e ingiusto per un testo che si muove a proprio agio nell’ambito del superlativo.

Il narratore è extradiegetico ed eterodiegetico, ma la focalizzazione è quasi sempre interna dal punto di vista dei diversi personaggi, stratagemma che permette non solo una maggiore introspezione degli stessi ma anche di non svelare più del dovuto e di trainare il lettore nei misteri che attanagliano il capoluogo piemontese.

La narrazione prende inizio il 25 aprile 1686 da un doppio prologo inerente due differenti personaggi. Il primo è Gustìn, uomo che vive di espedienti al limite della legalità e assoldato da Gropello, conte vicinissimo al Duca Amedeo di Savoia; dall’altra parte vi è la giovane Bertina che cerca di fuggire dalle persecuzioni messe in atto dal regime sabauda e da quello francese nei confronti dei Valdesi.

La voce narrante si interrompe attraverso un’esplicita ellissi e riprende dall’anno 1703 per proseguire fino al 1706. L’interruzione narrativa permette di partecipare congetturando gli eventi di quell’anno e di indirizzarvi tutta la nostra curiosità.

Sempre seguendo un istinto improvviso, Laura scostò il colletto della camicia per mostrare l’amuleto appeso a una catenina, che le era stato donato alla nascita. (…) Un ciondolo che raffigurava la Santa Vergine, protettrice delle ragazze giovani. La vecchia smise di ridere: «Calma. Non c’è ragione di farsi del male a vicenda» disse, con un tono prudente. «Certo che no» convenne Laura, senza sapere di cosa stavano parlando. (…) Il terrore l’aveva resa muta e inerme. Fu assalita da un pensiero con la violenza di uno schiaffo. Stregoneria! (…) “Se non ti insegnano niente, tu non sei niente”. Ancora parole misteriose e senza senso: “Vai a Torino per imparare?” Parole che gelavano il cuore di Laura e lo riempivano di paura. Parole che celavano almeno un fondo di verità al momento incomprensibile per Laura: perché lei era stata capace di incontrare uno sguardo in mezzo a mille tra la folla, e se n’era lasciata attrarre come una falena dalla luce. Tra lei e quella vecchia c’era un legame. Quale legame, non riusciva nemmeno a immaginarlo.

Laura è in viaggio verso Torino assieme alla madre Bertina e a Fioreste, marito di quest’ultima. Alle normali preoccupazioni inerenti questa nuova vita che stenta ad accettare, si aggiunge l’inquietudine di uno strano incontro con una vecchia merciaia che proferisce parole tanto enigmatiche quanto dal suono oracolare. Tale scena conturbante è la prima di una lunga serie che contribuiscono a donare un’aura attrattiva al libro insuperabile.

Laura è una ragazza adolescente che conosce ben poco della vita e che è vissuta sempre sotto la protezione dei genitori. Un personaggio estremamente interessante e dotato di un’evoluzione ben studiata all’interno del romanzo, attraverso lo scorrere delle pagine la si vedrà maturare attraverso numerosi travagli, responsabilità e pericoli.

Un momento particolarmente incisivo per la sua crescita è stato delineato dall’autore in un’atmosfera toccante e carezzevole, poiché a fare da sfondo alle riflessioni della ragazza sono le note cantate dalla guida Berardo, note appartenenti a un’emozionante canzone occitana del ‘500, Se Chanto, ne consigliamo l’ascolto nella versione dei Lou Dalfin, il cui leader del gruppo ha funto da modello per Berardo stesso. La menzione di tale episodio può ben rendere l’idea di come l’opera risulti raffinata e curata in ogni suo dettaglio, al pari di un manufatto di oreficeria incastonato di pietre preziose.

Al centro della narrazione si pone la città di Torino descritta minuziosamente e con ardore nei suoi quartieri e monumenti, a tal proposito segnaliamo la possibilità di un “viaggio interattivo” nei luoghi del libro grazie al sito dello scrittore che li mostra nella loro sembianza settecentesca e odierna. Ciò che colpisce però soprattutto di Torino è il seduttivo alone misterico che l’avvolge e che da sempre la rende la città italiana esoterica per eccellenza.

«Questo è il luogo più santo di Torino, la Consolata. Parleremo dentro.» Quand’ebbe varcato la soglia, Laura sentì il respiro venire meno perché non aveva mai visto una chiesa tanto bella. Sembrava ci fosse oro dappertutto: sugli stucchi che decoravano le colonne, lungo la volta dalla curiosa forma ovale, sui candelabri, sulle cornici dei quadri, sulle statue di angioletti. Rosina la portò a sedere in fondo alla chiesa, lontano dai fedeli in preghiera. «La santità di un luogo non basta a tenere lontano il Male» sussurrò. «Anche il Giardino dell’Eden era infestato dal serpente. Qui in città sono conservate tante reliquie, tra cui la più santa di tutte, la Sacra Sindone… » (…) «Del Demonio, sì. Troppe cose strane sono accadute, cose che ho visto con i miei occhi e che ho timore perfino di raccontare.» «Per questo avete voluto parlarne qui?» «Fare il suo nome è pericoloso, ogni volta attiriamo la sua attenzione. Noi lo chiamiamo Uomo del Crocicchio.»

Le notti torinesi sembrano essere particolarmente pericolose a causa di numerosi ed efferati delitti, la popolazione li giustifica come atti compiuti dall’Uomo del Crocicchio, ossia il Demonio. Laura ben presto viene a conoscenza delle presunte forze soprannaturali che agiscono nella città in un eterno scontro tra bene e male.

“Un rumore la fece rabbrividire. Si voltò: la strada era vuota. Ma prima non lo era. Aleggiava il residuo di un profumo strano. Muschio, pino, cera d’api e forse mughetto. Era un’essenza carica di energia, fresca. Troppo elegante per un quartiere tanto povero. Stonava, anzi era sbagliata. (…) Una sagoma si staccò dai vapori biancastri, scivolando come se fosse stata fatta di nebbia lei stessa.”

Le descrizioni delle notti nella città sono particolarmente suggestive e cariche di pathos, il lettore condivide le emozioni dei personaggi e vive l’oscurità con ansia e trepidazione, consapevole che a Torino potrebbe succedere di tutto.

“Gustìn scoprì che le masche producevano un unguento con il grasso dei bambini rapiti, e quella mistura permetteva loro di volare, cambiare aspetto o compiere le azioni più nefande. Facevano grandinare nei campi, ammalare le bestie e i cristiani. Si trasformavano in gatti, serpenti, cani e caproni. Le masche possedevano un oggetto, dono del Diavolo, dov’era concentrato il loro potere: un libro, un bastone, o una scopa. A volte perfino un semplice mestolo di legno. Gustìn ascoltò senza battere ciglio, anche se sapeva che nessuna di quelle favolette gli sarebbe stata di minimo aiuto nel portare a termine il suo incarico.”

Gustìn, impegnato nelle missioni politiche affidategli dal conte e alle prese con uno strano e macabro caso, si scontra con le credenze e le superstizioni che circolano anche nelle campagne al di fuori della città. Qui ogni azione viene ricollegata alle streghe, nello specifico le cosiddette masche. Ma egli è un uomo razionale e scettico, non solo rigetta completamente la fede in Dio e il Clero, ma considera fandonie le convinzioni in cui versa la popolazione. Tali pensieri saranno condivisi dal lettore, ma il dubbio che ciò che sembra appartenere alla fantasia sia reale più volte lo coinvolgerà, il conflitto di idee che viene a crearsi spinge a proseguire nella lettura in cerca di risposte.

Il personaggio di Gustìn sicuramente merita di essere lodato, è arguto ed intelligente, prototipo perfetto dell’uomo che si costruisce da sé senza porsi scrupoli di tipo morale. Tutti i personaggi sono estremamente caratterizzati e non sono irrealisticamente monocromatici, tanto è vero che lo stesso Gustìn mostrerà una certa sensibilità che lo spingerà ad andare fino in fondo nelle sue indagini al di là del suo compito.

Gustìn e Laura sono i protagonisti assoluti che si muovono su questo strano e mistico scenario comune, seppur diversi entrambi sapranno accaparrarsi le simpatie del lettore. Tutti gli altri personaggi che intervengono nella narrazione sono dotati di proprie caratteristiche che tendono a imprimerli nella memoria e a suscitare svariati sentimenti, parimenti ai protagonisti risultano completi. D’altronde sarà impossibile non ammirare Bertina e non affezionarsi al suo marito profumiere Fioreste, così come non sorridere dinanzi alle stoccate del conte Gropello, ma questi sono solo alcuni esempi, il quadro umano risulta molto più variegato e ampio.

Profondo spazio trovano anche le scene di vita quotidiana e le emozioni che vi concernono, poiché i personaggi sono estremamente umani e realistici. Ammirevole è notare quanta accuratezza l’autore dedica perfino ai chiacchiericci pettegoli, sembrerà quasi di udirli.

Lo scenario storico in cui avviene la narrazione è quello dell’imminente scontro tra il Duca Amededo di Savoia e il re francese Luigi XIV, noto come Re Sole. Tali vicende sono delineate in modo puntuale e scrupoloso senza risuonare pedanti.

Anche gli oggetti che compaiono non risultano in alcun modo inadeguati all’epoca né menzionati in modo approssimativo, bensì descritti attentamente e confacenti perfettamente al contesto.

La prosa di Buggio è cristallina ed elegante, scorrevole e ricca, senza divenire mai neanche per un attimo sciatta o ampollosa. Una caratteristica semantica che contribuisce nel tratteggiare ancor più l’atmosfera torinese è l’uso di alcuni termini dialettali, in alcuni casi ricorrenti: magna, cerèa, tòta, Balòn. Il significato di questi è chiaramente esplicitato e non sono in alcun caso abusati, la sfumatura linguistica torinese dunque è presente e dona un tocco in più senza eccedere e mettere in difficoltà il lettore appartenente ad altre parti d’Italia.

Un romanzo impeccabile, la dedizione dell’autore è rinvenibile in ogni pagina e nella cura di ogni dettaglio, ciò contribuisce a renderlo estremamente trainante e coinvolgente.

La città delle streghe è uno di quei libri che una volta terminati lasciano un vuoto e che trasmettono una profonda nostalgia, ma a mitigare tale sentimento, fortunatamente, vi sono gli altri due volumi della trilogia che siamo impazienti di leggere.

«Non si sa mai cosa nascondono le ombre. Torino non è una città come tutte le altre.»

(Rosa Zenone)

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“La città dell’assedio” di Luca Buggio