La saga della Città delle streghe è stupefacente dall’inizio alla fine, il capitolo conclusivo risulta esserne il degno coronamento finale. Non è facile mantenere immutata la qualità di tre volumi e non cadere in quella banalità che contraddistingue alcuni prolungamenti facendoli risultare forzati, ma Luca Buggio ci è riuscito, e in modo eccelso anche.
Lo sfondo è sempre quello della città di Torino, sempre descritta in modo così minuzioso che ormai appare conosciuta a noi tutti nei suoi quartieri e piazze. Ma non è colta nella propria immobilità strutturale, l’abilità dello scrittore è darne una rappresentazione viva, un’immagine che sembra oltrepassare la carta.
“(…) Piazza Carlina (…) I passanti erano pochi, i clienti ancora meno: i bottegai versavano secchi d’acqua sul selciato e lo sfregavano con le scope di saggina. Si fermavano a salutare Gustìn mentre passava, invitandolo a servirsi prima che le merci finissero.”
La città è colta in scene quotidiane e animata dai propri abitanti, molti dei quali ricoprono ruoli secondari o di comparse. Nonostante la funzione marginale risultano caratterizzati nell’ aspetto, nelle azioni e nelle storie, molti ad esempio sono menzionati attraverso esaurienti soprannomi che oltre a fornirne dettagli tendono a definire un clima confidenziale e abituale. Si ha la perenne sensazione di attraversare i luoghi e di incontrarne i residenti.
L’atmosfera che si respira nel capoluogo piemontese però non sembra essere quella comune a tante città, poiché oltre ai luoghi facilmente visibili e conosciuti, ve ne sono altri nelle viscere della città avvolti in un alone di arcano mistero, ambientazione perfetta per vicende che appaiono impenetrabili.
“La fantasia dei Torinesi parlava di gallerie che univano le Chiese, i conventi, e i principali palazzi della nobiltà. Per non parlare di altre, più grandi, grazie alle quali il Duca e la sua famiglia potevano spostarsi in carrozza dal palazzo in centro città alle residenze di Venaria, Stupinigi e del Valentino. Quante di quelle dicerie rispondessero a verità nessuno lo sapeva.”
Siamo nel 1706, nel vivo della battaglia che contrappone il Duca di Savoia al re di Francia e ormai vicini allo scontro decisivo.
“A giudicare dalla distanza e dalla direzione degli echi,le bombe stavano cadendo sui quartieri vicini alla Cittadella. Gustìn sollevò gli occhi al rettangolo di cielo tra le pareti del vicolo, ascoltando quel suono lugubre. Non riuscì a trattenere un brivido. L’idea che la morte potesse giungere dall’alto e per mano di uomini più distanti di quanto l’occhio arrivasse a distinguere era qualcosa che riempiva le viscere di paura. Era come una folgore che si abbatte senza nemmeno una goccia di pioggia a preannunciarla.”
La presenza della guerra non viene mai tralasciata, è uno sfondo costante ma non funge da mera scenografia, poiché non solo è più volte richiamata ma interagisce coi personaggi ed è direttamente connessa con le loro vicende. C’è da sottolineare inoltre come tale trattazione funga da spunto per inserire nelle seconde file dei personaggi l’eroe torinese Pietro Micca, detto Passepartout. Quest’ultimo viene ritratto in modo rapido ma esaustivo, puntando una luce accentuativa sullo stesso nonostante all’interno della trama non ricopra una posizione di primo piano.
Il romanzo, come i due precedenti, non è solo prettamente storico, poiché imbocca anche altri percorsi pertinenti ad altri generi. La scomparsa di diverse persone, soprattutto di fanciulle vergini, impone a Gustìn di dover investigare al riguardo per escludere che possano esistere vie di fuga o di ingresso non contemplate, in tal modo il libro acquisisce una sfumatura thriller.
Ma tali indagini lo condurranno sulla strada di forze del bene e del male, forze soprannaturali che agiscono dentro la Città, esseri che non hanno nulla di umano. Ne deriva una visione profondamente Manichea, che trasporta nel romanzo un equilibrio in bilico tra bene e male in un gioco di luci e tenebre. Tali presenze conducono l’opera nell’ambito del fantasy, tale connotato risulta accentuato in questo capitolo finale, questo infatti ha tutti gli attributi per essere ritenuto totalmente appartenente al genere.
La componente fantasy è intrigante e maestosa, il fascino principale dei personaggi ultraterreni deriva da una potente intuizione e una ricca inventiva che miscela nei loro tratti fede cristiana, superstizione e leggende di Torino.
“Non era arrivato, era apparso: un battito di ciglia prima non c’era, un battito di ciglia dopo era lì. Attorno a lui l’aria sembrava tremare come vicino a un fuoco acceso (…) E i suoi occhi… era come se qualcuno gli avesse dato fuoco. Laura non avrebbe saputo descriverli in altro modo, e sotto quello sguardo fiammeggiante si sentì bruciare di vergogna e paura per la propria natura imperfetta. Se Raffaele era un santo, quell’apparizione terribile e magnifica non poteva che essere un angelo.”
Accanto alle figure poste a protezione di Torino già conosciute, cioè Raffale e Maria Corona, vediamo emergere un nuovo personaggio, quello di Amedeo. Il suo aspetto, così come le sue azioni e idee, emana una forza inarrestabile e lo porterà a conquistare immediatamente il lettore. Luca Buggio ancora una volta sfodera tutto il proprio potere imaginifico e ci consegna scene e personaggi di forte impatto su ogni versante.
“La vittima fece un verso simile allo squittio di un topo, quando il carnefice cominciò a inciderle il ventre. Il gemito si tramutò in urla, la ragazza prese a contorcersi con violenza sotto la carezza della lama, nel disperato quanto inutile tentativo di sottrarsi alla mutilazione. Luigi Rossotto studiava la perfezione dei gesti, la precisione dei tagli. Un ballerino non avrebbe potuto essere più aggraziato. Era così vicino all’altare da sentire l’odore caldo e metallico del sangue.”
Ritroviamo la potente setta basata sul culto del Drago che si contrappone all’immagine benefica del Toro. La descrizione dei luoghi e dei rituali della setta sono descritti con massima scrupolosità, le immagini prodotte sono vivide e non di rado estremamente crude, riescono a delineare un’atmosfera agghiacciante e sanguinolenta davanti alla quale è impossibile rimanere impassibili.
In quella gravita Luigi Rossotto, che celandosi dietro un’apparenza di timidezza e ingenuità, non solo sta riuscendo nuovamente a gabbare Gustìn ma addirittura lo tallona affiancandolo nelle indagini. Ne consegue una vicenda ancor più aggrovigliata e in cui diventa difficile sbrogliare la matassa. Una trama ricca di suspense che trascina e seduce il lettore incantandolo.
La tecnica narrativa è condotta con una perizia magistrale, ne consegue uno stato di continua sospensione e dilemma che assicura la totale partecipazione del lettore. Infatti quest’ultimo è al corrente di maggiori informazioni rispetto ai protagonisti e nutre una forte trepidazione affinché compiano tali scoperte, ma allo stesso tempo la sua curiosità non è satura poiché gli spettano molte altre rivelazioni. Tale situazione si delinea attraverso una voce narrante che si dirama attraverso i diversi personaggi adottandone la focalizzazione e non disdegnando salti temporali che lo conducono in vicende precedenti, posteriori o simultanee ad altre.
Il merito di Buggio non si esaurisce in ciò che finora è stato evidenziato, bensì si manifesta con altrettanta potenza nei suoi protagonisti, Gustìn e Laura. Non ha forgiato due ruoli che vivono su carta, ma due persone che sembrano godere di vita propria. Non li ritroviamo immediatamente nei primi capitoli, il che aumenta l’attesa di riincontrarli, poiché ormai fanno parte di noi al pari delle persone care che ci circondano, e ultimato il libro inevitabilmente ci mancheranno.
Ambedue sono dotati di inconfondibili caratteri e personalità. Laura sembra avere molti dei tratti dell’omonima donna angelicata di Petrarca, una forte spiritualità e la verginità quale caposaldo imprescindibile; ma allo stesso tempo è una ragazza concreta dotata di un grande coraggio, che sta compiendo il proprio apprendistato nel mondo.
“(…) così Gustin rivide le nature che convivevano in lei e che già aveva avuto modo di scoprire. Una Laura forte, solenne e audace sapeva prendersi cura di quella più ingenua e gentile.”
I due protagonisti non solo sono costruiti attraverso una forte introspezione, ma sono in una continua ma coerente evoluzione, un’impresa che di certo non si può definire di facile attuazione.
“Era una spiegazione a cui un tempo Gustìn avrebbe reagito con biasimo, o ilarità, ma adesso sapeva che a Torino giravano esseri capaci di sbranare un uomo con i denti, o di annichilirlo con uno sguardo.”
Gustìn, estremamente pragmatico, sta abbandonando la propria razionalità per incanalarsi su un percorso che potrebbe avvicinarlo alla fede e alla spiritualità. Ma non è l’unico cambiamento che sta subendo, poiché l’amore verso Laura lo indurrà ad abbandonare le sue più grandi passioni, le donne e la taverna, per dirlo parafrasando Cecco Angiolieri, e a conoscere un nuovo se stesso con nuove priorità e una rinnovata sensibilità che viene a galla.
“(…) quell’emozione passò dai suoi occhi e dalle sue labbra alle labbra e agli occhi di Laura. Un istante dopo si ritrovarono l’uno nelle braccia dell’altra. Gustìn comprese che era sua, e che se avesse voluto avrebbe potuto fare con lei qualunque cosa. Un altro Gustìn, di un tempo non molto lontano, le avrebbe suggerito che se a correre maggiori pericoli erano le vergini, non esserlo sarebbe stata una misura di sicurezza. E in quel momento si rese conto di quanto era cambiato, perché a respingere la tentazione fu un altro pensiero, che non avrebbe rovinato la cosa più bella che avesse mai avuto. Quando tutta quella storia fosse finita avrebbe chiesto a Laura di sposarlo.”
Il loro amore è dolce, sincero e intenso, si eleva al di sopra di tutto e eleva gli stessi fruitori, dotato di una tale sublimazione che sembra porlo al di fuori del mondo terreno. Le scene che lo concernono trasudano una potenza evocativa irraggiungibile, un trasporto commovente ed emozionante, ottenuto attraverso una saggia dosatura dei termini che conosce perfettamente la differenza tra toccante e patetico. Ce ne si sente pervasi a propria volta in un’unione di spirito e cuore con i protagonisti, ciò provocherà un esaustivo e concentrato silenzio fatto da groppi in gola, forti palpitazioni e occhi lucidi.
Il sentimento che li lega è sorto in un clima di avversità e pericoli e vota l’uno in una strenua e struggente difesa dell’altra, richiederà loro di affrontare prove difficili e imprevedibili con continui colpi di scena che mozzeranno il fiato.
Luca Buggio ha una prosa tersa e scorrevole, elegantemente elaborata che non rinuncia a trasmettere forti suggestioni attraverso una grande quantità di aggettivi e similitudini, incisiva in ogni suo tratto sembra scorrere fluente e placida come un ruscello nella mente di chi vi si accosta. La lettura sembra nascere e procedere da sé, come un magico incanto a cui diviene difficile sottrarsi, anche se talvolta si sentirà la necessità di rallentare per non giungerne alla fine e trattenere più a lungo il sortilegio.
La città dei Santi è un’opera di qualità di gran lunga superiore alla media, è accurato e raffinato, nulla è prodotto di semplice casualità ma tutto congeniale a un disegno frutto di studio, attenzione e dedizione. Intrighi, strane apparizioni, amore e Torino sono gli elementi cardine di un romanzo imperdibile e incredibile, dove il pathos domina incontrastato.
“« (…) Torino è ancora dei Savoia» Di Savoia e dei Santi pensò Laura (…) Fu un pensiero che si stupì di aver fatto, come se non fosse stato suo ma di qualcun altro (…) Torino appartiene ai Santi.”
(Rosa Zenone)
potete leggere la recensione sul blog
“La città dei santi” di Luca Buggio
mentre, sempre sullo stesso blog, qui troverete la recensione della Città delle Streghe, e qui quella della Città dell’Assedio.