bombardamenti dei francesi sulla Torino del XVIII secolo stanno continuando da molti mesi ormai, quando l’ex galeotto Gustìn viene convocato dal conte Gropello, suo padrone, per un incarico molto delicato. Un cadavere mutilato e con il volto tumefatto è stato trovato vicino alla chiesa della Consolata e i torinesi ne sono rimasti sconvolti: i segni che la follia omicida ha lasciato sul corpo della vittima fanno intendere che l’omicidio sia stato portato a termine da una forza soprannaturale, più che da un essere umano. Ma la città è sotto l’assedio dei soldati del Re Sole, il cibo inizia a scarseggiare e il morale è bassissimo anche tra i civili: non ci si può permettere che qualcuno, spinto da folli superstizioni, tradisca il proprio popolo. A quello che tutti chiamano l’Assassino della Consolata, Gustìn deve trovare un volto, e che sia un volto umano possibilmente. Mentre si aggira per le strade malfamate del Borgo Dora o tra i sontuosi saloni delle ville nobiliari, Gustìn guarda tutti con occhio vigile: un uomo iper-razionale come lui non può davvero credere che sia stato un mostro a sfigurare quell’uomo fino a portarlo alla morte. E soprattutto, c’entreranno mica qualcosa quelle strane sparizioni di decine di torinesi, che sembrano lasciare la città da un giorno all’altro e senza lasciare traccia? Uno degli ultimi a scomparire è un commerciante di Borgo Dora, che vive proprio nella casa vicina a quella di Laura Chevalier. La giovane, trasferitasi a Torino insieme al padre – ormai paralizzato – e la madre – morta durante il viaggio – ormai regge la bottega sulle sue spalle. Due sono le cose che colpiscono chiunque guardi Laura per la prima volta: la grande intraprendenza, grazie alla quale ormai tutti in città conoscono i suoi profumi, e la bellezza spontanea e disarmante. E nemmeno Gustìn, che a tutto pensava meno che a quello, rimarrà indifferente a quella straordinaria bellezza…
Luca Buggio regala un eccezionale secondo capitolo al suo personalissimo racconto della Torino settecentesca. Difatti, sembra quasi che lo stile dell’autore sia maturato insieme ai suoi personaggi: in questo romanzo i passaggi tra i filoni narrativi sono molto più omogenei e meno serrati e in questo modo si riesce a comprendere meglio il punto di vista di quelli che a tutti gli effetti sono coprotagonisti paritari della storia. La chiave vincente del libro, infatti, sta proprio nell’esser riuscito a trovare un giusto equilibrio fra le storie di due personaggi così diversi e che impiegheranno molte pagine prima di incontrarsi per la prima volta: in questo modo non solo si offrono al lettore molteplici aspetti della vita in cui ognuno si possa immedesimare, ma si riesce anche ad avere un quadro generale – e verosimilmente corretto – di un evento così irrazionale e invasivo come possa esserlo la guerra. Vedere, infatti, i punti di contatto e di distanza tra chi (Gustìn) la guerra la vede dalle anticamere delle sale del potere e chi invece (Laura) dai bassifondi e dalle piazze brulicanti di volti distrutti dalla fame e dalla stanchezza. Se a questo si aggiunge poi il ruolo determinante che ha la Superstizione (equivalente moderno della Provvidenza manzoniana) allora si finisce per leggere questo libro – e, suggestionati da esso, anche la propria vita – con occhi diversi. Insomma, un racconto convincente e uno stile coinvolgente: la ricetta perfetta per lasciare il lettore con l’amaro in bocca quando girerà l’ultima pagina.
(Salvatore di Nuzzo)
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