Ij cornajass a fasjo ‘n gran ciadel. Mi i pensava ch’a fussa morta na feja, e i son andait a vëdde. Col post lì a l’è maledet, eh, ai è le masche. A j’era n’òm ant la reirura, tut patanù e pien ed sang.
“Torino non è una città come le altre”: questa, oltre ad essere una parte della dedica dell’autore, è una convinzione che ho sempre avuto. Torino è magica, è misteriosa, è inquietante e affascinante allo stesso tempo.
Questo perché Torino non è una città semplice: i torinesi hanno da sempre alimentato i “fatti inspiegabili” e inaspettati, costruendo leggende e miti, e contribuendo alla definizione di Torino come città magica o esoterica.
Una delle basi di questa nomea è la presenza delle streghe: donne colte o figlie del diavolo?
La città delle streghe è un romanzo ambientato nella Torino del ‘700, che racchiude al suo interno tratti tipici del romanzo storico ma anche del giallo.
A fare da sfondo alle vicende dei protagonisti, c’è la “città magica”, con la sua tipica atmosfera suggestiva e inquietante. Ad incidere molto sia sulla trama e sia sull’atmosfera ricreata, è il contesto storico: un periodo di transizione tra paganesimo e religione cristiana, tra “sapere popolare” e medicina, con una guerra in vista e tutto ciò che ne può conseguire.
Ed è proprio a causa degli scontri imminenti, che uno dei protagonisti fa la sua comparsa: Laura Chevalier, in fuga da Nizza, si trasferisce a Torino con la famiglia. Il viaggio sarà lungo e tortuoso e, una volta arrivata in città, non sarà più la stessa persona; ma non finisce qui, la sua permanenza a Torino farà di lei una donna matura, trasformandola nell’opposto di ciò che era al momento della partenza.
Durante la sua permanenza in città, infatti, verrà a conoscenza di sparizioni e omicidi efferati: la gente ha paura, l’Uomo del Crocicchio è tornato (o forse è opera delle streghe?). Sarà un investigatore decisamente inconsueto a fare chiarezza sugli eventi che stanno tormentando la città: Gustin, mezzo delinquente e mezzo gentiluomo, conosce posti e persone a sufficienza da riuscire a riportare ogni cosa al suo posto.
Oltre a questi due personaggi principali, ce ne sono molti altri degni di nota: quelli realmente esistiti prima di tutto (il Duca di Savoia, per esempio) e quelli utili a descrivere perfettamente Torino, la sua storia e le sue usanze (la Vipera, per esempio).
I punti di forza del libro sono senza ombra di dubbio l’atmosfera e l’ambientazione: le descrizioni dei luoghi e delle usanze sono assolutamente veritieri, trasportano il lettore in una Torino d’altri tempi tra Borgo Dora e la Cittadella. In poche parole un romanzo storico veritiero unito ad un thriller ben costruito, con colpi di scena e un finale inaspettato!
Ad aumentare ulteriormente la qualità del romanzo, a mio parere, sono le parole in dialetto, i soprannomi e i modi di dire: nel torinese è consuetudine appellare i personaggi particolari con soprannomi stravaganti (abitudine che fortunatamente non si è ancora persa!), così come ai luoghi di frequentazione comune.
In conclusione:
Ho apprezzato molto questo romanzo, sia come thriller e sia come romanzo storico: lo consiglio a chiunque voglia approfondire le conoscenze sulla storia della città, sulle sue consuetudini e sugli eventi che l’hanno resa “la città magica”; come ho potuto apprendere dall’autore e confermare grazie alle mie letture precedenti, i fatti reali contenuti nel romanzo sono frutto di studi e verifiche da parte di esperti: questo rende la lettura ancora più interessante.
Lo consiglio in ogni caso a tutti gli amanti di questi due generi letterari, anche a chi non dovesse conoscere il dialetto: la quantità di parole in dialetto, infatti, non è tale da rendere difficoltosa la lettura.
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