«Fermiamoci qui» propose a un certo punto Giacomo, all’ombra della chiesa di San Domenico. Gustìn annuì, facendosi aria col cappello.

La bottega di acquavite di fronte all’entrata minore era stata distrutta dalle bombe, e i palazzi vicini portavano i segni di un incendio recente. Gustìn si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano: si sentiva a disagio in quel luogo. Il suo sguardo non riusciva a distogliersi dal meccanismo di legno incassato nel muro accanto al portone: la ruota degli orfanelli.

Io sono stato abbandonato in un posto come questo.

Il portone era aperto, ma dentro non c’era nessuno e il sagrato era deserto: ormai anche gli abitanti del quartiere preferivano andare a pregare altrove.

«È stata l’aggressione più brutale che abbia mai visto da quando faccio questo mestiere» cominciò lo sbirro. «La vittima era conciata così
male che se non fosse stato per Foschieri non sapremmo nemmeno il suo nome.»

Gerardo Vanis: uomo di fiducia del maggiore della piazza incaricato di sorvegliare le famiglie francesi, così era stato detto a Gustìn la sera
prima.

L’uomo dei lavori sporchi. Come me.

Un frullo d’ali richiamò la sua attenzione sul frontone appuntito che dominava il portone della chiesa, e sui pinnacoli dove svolazzavano i
colombi. La facciata era in mattoni intonacati di un rosso scuro come il vino. Come il sangue.

(La Città dell’Assedio)

Nella storia di una città come Torino non poteva certo mancare l’Inquisizione.

Il Sant’Uffizio giunse nel Medioevo, prendendo possesso dell’intero quartiere a ridosso della chiesa di San Domenico. I decreti emanati da Amedeo VIII dimostrano come l’Inquisizione influenzasse anche la giustizia dei Savoia: bestemmiare nella Torino medievale significava farsi perforare la lingua!

Che gli Inquisitori non godessero di simpatia da parte di tutti è facile da immaginare. Ma nel 1365 si andò decisamente oltre: il frate inquisitore Pietro Cambiasi di Ruffia fu ucciso nel chiostro del Convento di San Francesco a Susa, in una gelida notte d’inverno. Dieci pugnalate. La caccia all’assassino fu infruttuosa, così da eccitare la fantasia popolare che cominciò a parlare di una vendetta. Si parlò di una setta di eretici di Meana, di un misterioso sicario che arrivava dalla Valle di Lanzo, e ovviamente di streghe. Il frate inquisitore fu poi fatto Beato e fino a non molti anni fa si usava celebrarne la memoria apponendo un’immagine dipinta e due ceri accesi accanto a una delle due lapidi a lui dedicate nel “chiostro dei morti” della Chiesa di San Domenico.

L’ordine dei Domenicani, che gestivano il Sant’Uffizio, aveva giurisdizione su tutto il Piemonte. Non dobbiamo dimenticare infatti che in queste terre non mancarono gli “eretici”. Dai Catari nel Biellese ai Valdesi nel Pinerolese.

La presenza degli inquisitori a Torino ha lasciato qualche traccia non solo nella loro chiesa, ma anche nel quartiere circostante. In via Milano 11 si possono notare statue con teste di cane sulla facciata dell’antico palazzo. Un chiaro simbolo dei Domini Canes, i cani del Signore, che proteggono la Fede dall’attacco dei lupi eretici.